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L’ azienda dei suicidi che sconvolge la Francia

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L’ azienda dei suicidi che sconvolge la Francia

Repubblica

Son ormai ventiquattro i suicidi a France Télécom. Ventiquattro in diciotto mesi, l’ ultimo dei quali il 28 settembre. Un macabro bilancio per un’ azienda che, appena una decina di anni fa, prometteva mare e monti ai propri lavoratori. Ma anche un vero e proprio trauma per tutto un Paese che non riesce a capire come sia possibile morire a causa del proprio lavoro. Tanto più che il dramma di France Télécom non affatto è un caso isolato.
Anche se le statistiche non sono ufficiali, sarebbero in media 400 l’anno i lavoratori che, in Francia, si danno la morte sul luogo di lavoro.
Perché suicidarsi? E perché farlo proprio sul luogo di lavoro?
Le dichiarazioni rilasciate dagli amministratori delegati delle aziende colpite da questo flagello non soddisfano più nessuno. Come pensare ancora che si tratti solo di persone particolarmente fragili e piene di problemi personali, la cui morte non ha un legame diretto con quello che possono vivere al lavoro?
Non è più un segreto per nessuno: coloro che soffrono a causa del proprio lavoro sono sempre più numerosi. Anche se le condizioni lavorative non hanno niente a che vedere con quelle del Diciannovesimo secolo, il nuovo management crea un malessere psicofisico (dal semplice stress al burning out, passando per la depressione) che svuota progressivamente gli individui. Perché non interrogarsi allora una buona volta sulle reali conseguenze di questo management contemporaneo che, arrivato in Europa negli anni Ottanta, esorta gli individui a credere che esista un legame di causa-effetto tra la realizzazione professionale e il benessere personale, come affermano i codici etici di alcune aziende? Tra la fine degli anni Ottanta e l’ inizio degli anni Novanta, i metodi di management adottati per il buon funzionamento delle aziende si irrigidiscono.
Le decisioni di riassetto, declassamento, accantonamento o licenziamento si moltiplicano, mentre coloro che conservano il posto di lavoro vengono sottoposti a oneri sempre più impegnativi. Le scadenze si ravvicinano. Le valutazioni si moltiplicano. Le analisi dei risultati si intensificano. Al tempo stesso, il linguaggio evolve e spinge i lavoratori a un coinvolgimento personale sempre più grande. Qualunque sia il settore di attività, si sente sempre più parlare di «autonomia» e «responsabilità».  L’ azienda cambia look e ostenta la volontà di farsi carico della piena realizzazione dei suoi dipendenti: ognuno deve sentirsi libero di agire come vuole, di portare alla propria azienda idee nuove e di trovare al suo interno il proprio benessere. Consegnati alla loro creatività e alla loro inventiva, i lavoratori- si sostiene- devono saper creare le condizioni del loro successo. Prendendo atto delle competenze di cui dispongono, devono essere polivalenti e flessibili. Mostrando di avere fiducia in se stessi, devono essere in grado di superare ogni difficoltà. Al tempo stesso, però, gli obiettivi da raggiungere restano fissati dalla direzione, e i margini di manovra di cui dispone il lavoratore sono sempre più ristretti. La competizione e la globalizzazione non transigono: chi non si adatta non sopravvive. Come illustra l’ americano Stephen Covey, autorevole consulente aziendale, «la nuova era esige la grandeur, pretende che ognuno abbia la certezza di realizzarsi lavorando con passione e che sia pronto a pagare in prima persona ». Per dirla più semplicemente, ognuno di noi deve ormai credere alla propria mission. Tutto dipende da noi. Basta volerlo. Anche se, in questa corsa forsennata verso il successo, si deve essere pronti al sacrificio estremo: pagare in prima persona. Non è forse quello che sta accadendo proprio oggi? Se tutto dipende dalla propria volontà, quando qualcosa va storto o si commette un errore si pensa di trovarsi di fronte alla prova irrefutabile che non si è stati all’altezza delle aspettative. In un universo in cui ognuno può (e deve) diventare «imprenditore della propria vita», la mutazione forzata viene vissuta come una sanzione alla propria mancanza di impegno.A forza di pretendere che i lavoratori siano «autonomi» e «responsabili» senza dar loro i mezzi per diventarlo realmente, il risultato più efficace che si ottiene è quello di colpevolizzarli. È il loro «saper essere» che è direttamente in causa e non più solo il caro e vecchio «saper fare». Errori, sviste, stanchezza… tutto diventa inaccettabile; tutto rinvia all’incapacità del singolo di adattarsi alle esigenze del Mercato.
È allora che il senso di colpa aumenta e, talvolta, diventa insopportabile. Per non parlare poi di quanto sta succedendo in questi ultimi mesi, a causa della crisi economica. Ormai i licenziamenti e le mutazioni forzate sono il pane quotidiano di molte aziende. Per alcune si tratta di una necessità.
Ma, per i lavoratori, questa necessità si trasforma in un incubo. Come sopportare una mutazione forzata o un licenziamento quando ci si è dati corpo e anima alla propria azienda? Come accettare il fatto di non essere più «utili» all’ azienda, quando si è sempre stati pronti a lavorare con «passione», fino al limite estremo della propria resistenza fisica e psichica? Le inchieste in corso mostrano che molte delle persone che si sono suicidate in questi ultimi mesi erano lavoratori particolarmente impegnati e meticolosi e non individui depressi, fragili e incapaci di adattarsi alle trasformazioni delle aziende. Tutto il contrario, quindi, di quello che si sarebbe potuto pensare. Tutto il contrario, soprattutto, di quello che alcuni dirigenti non smettono di ripetere. Ma i fatti parlano chiaro: le vittime erano impiegati modello, che avevano assunto un certo numero di responsabilità, che non avevano mai esitato a lavorare più del dovuto, senza riposarsi e senza prendere tutte le ferie a loro disposizione. Erano persone che avevano talmente aderito alla «cultura manageriale» delle proprie aziende da non rendersi nemmeno più conto che la propria vita dipendeva dal proprio lavoro e dalle soddisfazioni che potevano trarne. Ma, a partire dal momento in cui tutto dipende dal lavoro, le difficoltà lavorative che si possono incontrare (e che tutti, prima o poi, incontriamo) diventano ostacoli insormontabili.
Dopo essersi dati a fondo sul lavoro, come uscire indenni da un declassamento o un licenziamento? Il management contemporaneo ha fatto di tutto perché l’uomo diventasse la principale fonte degli utili della produttività.
È forse venuto il momento di riconoscere che mettere l’ uomo al centro delle preoccupazioni dell’ azienda non significa ridurlo a una semplice «risorsa umana».

MICHELA MARZANO

Written by sistemielettorali

31 dicembre 2009 at 11:02

Elezioni legislative in Uzbekistan

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Tra pochi giorni in Uzbekistan si terranno le elezioni parlamentari per il rinnovo di Camera e Senato.

La legge elettorale stabilisce che un candidato viene eletto se ottiene la maggioranza assoluta dei voti (se i votanti sono stati almeno il 33% degli aventi diritto). Altrimenti, si passa al ballottaggio tra i due candidati più votati.

Le elezioni parlamentari 2004

Le ultime elezioni in Uzbekistan sono state quelle parlamentari del dicembre 2004 e gennaio 2005.

Il primo turno si è tenuto il 26 dicembre e il ballottaggio il 9 gennaio.

Il parlamento uzbeko, chiamato Oliy Majlis, è costituito da Camera e Senato. La Camera ha 120 membri eletti a livello nazionale per un periodo di cinque anni. Il Senato conta 100 membri, 84 dei quali sono eletti indirettamente a livello regionale e 16 direttamente nominati dal Presidente.

Le elezioni del 2004/2005 sono state le terze elezioni parlamentari dopo l’indipendenza del paese, e le prime

con il sistema bicamerale introdotto nel 2002.

Tutti i cinque partiti che hanno partecipato le elezioni hanno sostenuto il presidente. Alcuni partiti di opposizione hanno cercato di registrarsi per le elezioni, ma le domande sono state per vari motivi rifiutate. Quindi diversi gruppi di opposizione hanno deciso di boicottare le elezioni.

Alle elezioni hanno partecipato 12.197.159 elettori (85,1%). In 94 distretti, ovvero il 78 per cento del totale, in un unico luogo i candidati MP du

Dopo aver esaminato i protocolli delle commissioni elettorali quartiere fino alle elezioni di dicembre 26, 2004, la Commissione elettorale centrale della Repubblica di Uzbekistan ha stabilito che l’esito del voto in 58 circoscrizioni elettorali, nessun candidato ha vinto il numero necessario di voti per l’elezione.

Questi i collegi nei quali si è svolto il ballottaggio:

Tashkent City

Circoscrizione Train  3

Circoscrizione Kuylyuksky  5

Circoscrizione Dombrabadsky  7

Elettorale Hadrinsky distretto  8

Circoscrizione Astrabadsky  10

Circoscrizione Tukimachinsky  11

Andijan

Circoscrizione Balykchy  14

Circoscrizione Asaka  16

Circoscrizione Bulakbashi  18

Circoscrizione Dzhalalkuduksky  19

Circoscrizione Kurgantepinsky  20

Circoscrizione Izbaskan  21

Bukhara

Circoscrizione Varahshinsky  26

Jizzax regione

Circoscrizione Dustliksky  31

Navoi

Circoscrizione Navoi  34

Circoscrizione Kiziltepinsky  35

Circoscrizione Hatyrchinsky  37

Namangan

Circoscrizione Pontificio  38

Circoscrizione Chust  39

Circoscrizione Yangikurghon  42

Circoscrizione Uicbi  43

Samarcanda

Sogdiano circoscrizione  48

Circoscrizione Bulungursky  49

Circoscrizione Ishtikhan  50

Circoscrizione Karadarinsky  52

Circoscrizione Narpay  53

Circoscrizione Akdarinsky  54

Circoscrizione Pastdargomsky  55

Syrdarya

Circoscrizione Sayhunsky  61

Circoscrizione Yangiersky  62

Surkhandarya

Circoscrizione Sherabad  63

Circoscrizione Angora  64

Circoscrizione Termez  65

Circoscrizione Dzharkurgansky  66

Circoscrizione Kumkurgan  67

Circoscrizione Shurchinsky  68

Tashkent

Circoscrizione Angren  71

Circoscrizione Buka  73

Circoscrizione Zangiatin  75

Circoscrizione Parkent  77

Circoscrizione Toytepinsky  78

Circoscrizione Chinaz  79

Circoscrizione Chirchik  80

Ferghana

Circoscrizione Beshariq  83

Circoscrizione Danghara  84

Circoscrizione Yaypansky  85

Circoscrizione Kokand  86

Circoscrizione Rishtan  89

Circoscrizione Qkhunboboev  91

Circoscrizione Ferghana  93

Circoscrizione Vodilsky  94

Circoscrizione Tashlaksky  95

Kashkadarya

Circoscrizione Karshi  104

Circoscrizione Kamashinsky  106

Circoscrizione Kitab  110

Karakalpakstan

Circoscrizione Nukus  114

Circoscrizione Hojeily  118

Circoscrizione Chimbay  119

Al ballottaggio hanno partecipato più di 5.400.000 persone, ovvero circa l’80% degli elettori che sono stati ammessi a partecipare al secondo turno. Il risultato ha visto la vittoria del Partito Liberal Democratico dell’Uzbekistan, con il 34,2% dei deputati eletti, seguito dal Partito democratico del popolo dell’Uzbekistan, che ha ottenuto il 23,3% dei deputati. Inoltre sono stati eletti 18 membri del partito Fidokorlar, 11 membri del partito Milliy Tiklanish, 10 membri del partito Adolat.

Le elezioni si sono svolte in un clima di accesa concorrenza tra i partiti politici per i seggi alla Camera legislativa. 

Tra i deputati eletti di quasi il 91% sono uzbeki, e più del 9% – karakalpaki, kazaki, tagiki, turkmeni, russo, tartari e ucraini.

Con ciò, al primo turno sono stati eletti 62 deputati, mentre i restanti 58, come detto, hanno vinto al ballottaggio.

Questo l’esito (non abbiamo il numero dei voti):

Liberal Democratic Party  – 34,2% (41 members)

People’s Democratic Party – 23,3% (28 members)

“Fidokorlar” National Democratic Party – 15% (18 members)

“Milliy Tiklanish” Democratic Party – 9,2% (11 members)

“Adolat” Social Democratic Party – 8,3% (10 members)

Initiative Groups  – 10% (12 members)

Per le prossime elezioni di fine dicembre, concorreranno 517 candidati per 135 seggi della Camera Bassa (123 candidati di “Adolat” (Justice) Social Democratic Party of Uzbekistan, 125 di Milliy Tiklanish (National Revival) Democratic Party of Uzbekistan, 135 di UzLiDeP, Businessmen Movement – Liberal Democratic Party of Uzbekistan e 134 di People’s Democratic Party.

Più di 250 rappresentanti provenienti da 36 paesi e una serie di autorevoli organizzazioni internazionali come CSI, SCO, OIC, tra cui l’OSCE / ODIHR hanno confermato la loro partecipazione nel monitoraggio delle elezioni. La designazione dei candidati per il Parlamento si è chiusa l’11 novembre 2009, e l’esito delle elezioni e l’elenco dei rappresentanti del popolo dovrebbero essere pubblicati non prima del 7 gennaio 2010. L’elezione sarà dichiarata valida se avrà votato almeno il 33% degli elettori. Si noti che la campagna elettorale in corso in Uzbekistan ha alcune differenze rispetto alle elezioni precedenti. In primo luogo, la rappresentanza dei partiti politici nella Camera Bassa è portata da 120 a 135 membri (in totale 150 deputati). Questi 135 deputati saranno eletti su base multipartitica. Non meno del 30% dei candidati devono essere donne. Vince le elezioni il candidato che ha ottenuto più della metà dei voti del distretto.

Indipendentemente dal risultato delle elezioni, 15 seggi in Parlamento sono riservati per il movimento “Ambientalisti in Uzbekistan”.

In terzo luogo, i partiti politici hanno ora la possibilità di partecipare al conteggio dei voti nei seggi elettorali e controllare le liste, attraverso il proprio commissario.

I partiti presenti alle elezioni

Uzbekistan conosce cinque ufficiali dei partiti politici. Tutti offrono pieno sostegno al presidente Karimov e non presentano differenze significative per ciò che riguarda i programmi politici.

People’s Democratic Party (Halq Demokratik Partiyasi)

Iscrizioni: 580.000 (2004)

Primo Segretario: Asliddin Rustamov

Precedente Presidente: Abdulhafiz Jalolov (1993-2003)

Fondato: 15 novembre 1991

Il HDP è sempre stato il partito al governo in parlamento fino al Watan Taraqqiyoti Partito si è fusa con Fidokorlar nel mese di aprile

2000. La maggior parte dei membri di alto livello del governo sono membri del HDP.

Fidokorlar (Demokratik Partiyasi, Self-immolatori)

Iscrizioni: 61.000 (2004)

Chairman: Akhtam Tursunov

Fondato: 28 dicembre 1998

Adolat – Partito Social Democratico (Adolat Sotsyal Demokratik Partiyasi)

Iscrizioni: 50.000 (2004)

Chairman: Turgunpulat Daminov

Fondato: 18 febbraio 1995

UzLiDeP – Partito Liberal-Democratico

Iscrizioni: 135.000 (2004)

Chairman: Turgunpulat Daminov

Precedente presidente: Kabiljon Toshmatov (novembre 2003-maggio 2004)

Fondato: 15 novembre 2003

Milli Tiklanish – Partito Democratico dell’Uzbekistan

Iscrizioni: 50.000 (2004)

Presidente: Ibrahim Gafurov

Fondato: 9 giugno 1995

Partiti dell’opposizione

I partiti di opposizione sono vietati, quindi ufficialmente dobbiamo parlare di organizzazioni di opposizione. Questi partiti di opposizione hanno come principale obiettivo l’instaurazione della democrazia in Uzbekistan. Nessuno di loro parteciperà alle prossime elezioni.

Sia il partito Birlik che la lista Erk, infatti, non potranno partecipare alla corsa elettorale.

Written by sistemielettorali

23 dicembre 2009 at 16:16

Nucleare: ok del governo a criteri

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Nel 2o13 inizierà la costruzione della prima centrale atomica italiana. Lo ha assicurato il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, dopo il via libera del Consiglio dei ministri al decreto legislativo che prevede la localizzazione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica e nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio, di misure compensative e campagne informative. Un secondo decreto approvato riguarda il «riassetto della normativa su ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche». I decreti andranno ora al vaglio delle commissioni parlamentari competenti prima di tornare al Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva.

SCAJOLA E LA RUSSA – «Con questo provvedimento abbiamo fissato i criteri per la localizzazione dei siti. L’obiettivo prioritario non è soltanto la sicurezza, ma anche la tutela della salute della popolazione e di protezione dell’ambiente», ha commentato Scajola. «Sulla base di tali criteri saranno poi le imprese interessate a proporre in quali zone intendono realizzare gli impianti nucleari». Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha invece assicurato che nel decreto «non c’è alcun riferimento ai siti militari. Non vuol dire che sono esclusi, nessun sito è escluso», ha precisato il ministro. «Ma non c’è un riferimento diretto ai siti militari».

SOLDI – Il decreto legislativo sull’energia nucleare prevede benefici, a carico delle imprese coinvolte nella costruzione e nell’esercizio delle centrali, pari a 3 mila euro al megaWatt sino a 1.600 megaWatt realizzati nel sito, maggiorati del 20% per potenze superiori. Inoltre «un beneficio su base trimestrale commisurato all’energia prodotta e immessa in rete e pari a 0,40 euro al megawattora». I soldi sono destinati per il 10% alle province interessate, per il 55% ai Comuni ospitanti, per il 35% ai Comuni nel raggio di 20 chilometri dalla centrale, o di 10 dall’impianto nel caso di sola produzione di combustibile. I benefici legati alla produzione di energia elettrica vanno per il 40% agli enti locali e per il 60% ai residenti e alle imprese circostanti la centrale nucleare «mediante la riduzione della spesa energetica, della Tarsu (tassa sui rifiuti, ndr), delle addizionali Irpef, Irpeg e dell’Ici». Il decreto prevede infine la realizzazione di un deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

PD – Molti i dubbi del Pd. «Il decreto prevede che, se una diversa maggioranza politica decidesse di abbandonare il programma nucleare, gli utenti pagherebbero comunque nelle bollette i costi sostenuti per avviare la realizzazione degli impianti», hanno chiarito i senatori Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.

LEGAMBIENTE – Contrarie al decreto le associazioni ambientaliste, tra queste Legambiente. «Da dove arriverà questa montagna di soldi?», chiede il responsabile scientifico dell’organizzazione, Stefano Ciafani. «Il governo scopre le carte e svela la maxi stangata per il ritorno dell’atomo in Italia, con buona pace dell’alleggerimento delle bollette elettriche sbandierato finora. Spendendo non meno di 50 miliardi di euro per produrre il 25% dell’elettricità, distoglieremo tutte le risorse che potrebbero essere investite subito nell’efficienza energetica e nelle energie rinnovabili». Secondo Scajola, invece, il programma nucleare consentirà di produrre «energia elettrica a prezzi inferiori almeno del 30%».

VERDI – Il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, sostiene che «il governo va avanti con la truffa del nucleare e non dice due verità. Primo non dice dove verranno costruite le centrali per paura di un boomerang elettorale alle prossime elezioni regionali», mentre «la seconda verità taciuta – secondo il presidente dei Verdi – è il costo di questa folle avventura antieconomica ed antiambientale e che verrà pagata tutta dai contribuenti». Per Bonelli, infatti, «il ritorno al nucleare costerà almeno 1000 euro ad ogni famiglia italiana».

IDV – «Questo deccreto è il regalo di Natale del governo agli italiani di Monfalcone, della provincia di Gorizia, di Scanzano Jonico in Basilicata, di Palma in provincia di Agrigento, di Oristano, di Chioggia, di Caorso, di Trino Vercellese, di Montalto di Castro, di Termini Imerese e di Termoli», ha detto Paolo Brutti, responsabile Ambiente per Italia dei valori. «Quattro di queste località ospiteranno subito un impianto nucleare e un sito di stoccaggio. Le altre lo avranno dopo».

REFERENDUM – Paolo Cento, del coordinamento nazionale di Sinistra ecologia e libertà, ha detto che il partito «è pronto a promuovere un referendum per abrogare queste norme antieconomiche che producono danni ambientali al Paese». Secondo Claudio Saroufim, responsabile ambiente dei Comunisti italiani, «non potendo fare i nomi dei siti scelti, pena l’impopolarità a soli tre mesi dalle regionali, il governo fa finta di partorire i criteri di selezione».

Consiglio dei Ministri n.77 del 22/12/2009

22 Dicembre 2009

La Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica:

il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi, alle ore 15,30 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Ministro Altero Matteoli, a norma dell’art.8 della legge n.400 del 1988, quale Ministro più anziano.

Segretario, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza, Gianni Letta.
Il Consiglio ha approvato i seguenti provvedimenti:

su proposta del Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, e del Ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli:

– uno schema di decreto legislativo, sul quale verrà acquisito il parere del Consiglio di Stato, della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari, che in attuazione della specifica delega conferita al Governo opera il riassetto della disciplina dei criteri per la localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi. Lo schema regola le procedure per l’autorizzazione unica per la localizzazione, la costruzione, l’esercizio e la disattivazione degli impianti nucleari, con le relative misure compensative e disciplina altresì le procedure per la localizzazione, costruzione ed esercizio di un Parco tecnologico comprensivo di un Deposito nazionale destinato allo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi, con le relative misure compensative;

– uno schema di decreto legislativo, sul quale verrà richiesta l’intesa della Conferenza unificata ed il parere del Consiglio di Stato, che opera il riassetto della disciplina in materia di ricerca e coltivazione delle risorse al fine di garantire, in un contesto di sviluppo sostenibile del settore e assicurando adeguata protezione ambientale, un regime concorrenziale per l’utilizzo delle risorse geotermiche ad alta temperatura e la semplificazione dei procedimenti amministrativi. Sono obiettivi del provvedimento garantire l’allineamento delle concessioni esistenti facendo salvi gli accordi intercorsi tra regioni ed operatori, gli investimenti programmati e i diritti acquisiti; stabilire i requisiti organizzativi e finanziari per lo svolgimento, da parte delle regioni, delle procedure concorrenziali ad evidenza pubblica per l’assegnazione di nuovi permessi di ricerca e per il rilascio di nuove concessioni; individuare i criteri per determinare l’indennizzo del concessionario uscente nel caso di subentro di un nuovo soggetto imprenditoriale; definire procedure semplificate per lo sfruttamento del gradiente geotermico o di fluidi geotermici a bassa e media temperatura.
 
Il Consiglio ha inoltre deliberato lo stato d’emergenza per i gravi eventi sismici che hanno colpito il territorio della regione Umbria il 15 dicembre scorso. Per consentire il completamento degli interventi di protezione civile in atto, è stato deciso di prorogare lo stato d’emergenza già dichiarato a Messina e Napoli per problemi legati a traffico e mobilità, in Piemonte e Valle d’Aosta per eventi meteorologici, a Lampedusa e Linosa per le criticità del sistema portuale, nelle Isole Eolie per danni causati dai fenomeni vulcanici.

Infine il Consiglio ha deliberato:

– su proposta del Presidente del Consiglio e del Ministro per i beni e le attività culturali, il professor Giorgio ASSUMMA è stato confermato Presidente della Società italiana degli autori e degli editori- SIAE;

– su proposta del Ministro della difesa, sono stati promossi generali di Corpo d’armata i generali di divisione dell’Arma dei carabinieri Lucio NOBILI, Arturo ESPOSITO e Maurizio SCOPPA ed i generali di divisione delle Armi di fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, trasmissioni dell’Esercito Alessandro MONTUORI, Enzo STEFANINI e Claudio GRAZIANO.

La seduta ha avuto termine alle ore 16,20

Written by sistemielettorali

22 dicembre 2009 at 21:29

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Nucleare: costo dell’energia prodotta

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Abbiamo visto alcuni criteri relativi ai costi di una centrale nucleare: i tempi di realizzazione e il costo nominale di costruzione.
Un altro criterio importante è relativo ai costi dell’energia prodotta.
Da questo punto di vista ci vengono incontro alcuni articoli presenti sul web.
Iniziamo con il già citato, “I veri costi dell’energia nucleare” pubblicato dall’Università di Pisa da parte di Romanello, Lomonaco, Cerullo.
Ci sono alcune voci che concorrono a stabilire quanto ci costa produrre energia col nucleare: i costi di impianto, del ciclo di combustibile, di esercizio e manutenzione, di smantelamento e recupero del sito.

Costi di impianto
In questo studio si riportano i costi di impianto, che è dato dal costo Ka dello stesso attualizzato all’inizio dell’esercizio commerciale, moltiplicato per il fattore di annualità x e fratto la quantità di energia prodotta in un anno Ep:
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Written by sistemielettorali

18 dicembre 2009 at 09:14

Costi di costruzione di una centrale nucleare

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Dopo aver parlato dei tempi di costruzione di una centrale nucleare, veniamo ora a parlare di costi. Fatto salvo il dato derivante dalle rigide leggi della domanda e dell’offerta e trascurando in questa occasione il concetto di margine di contribuzione, si può sommariamente dire che il prezzo è sostanzialmente formato da costi diretti, costi indiretti, spese generali, o costi fissi, utile.
Il discorso è sempre molto aleatorio, in quanto vedremo che anche per il budget da preventivare, è complicato stabilire quanto capitale occorre per la costruzione di un impianto.
Dal sito di Aspoitalia, possiamo mutuare ciò che viene affermato in questo documento: “
http://www.aspoitalia.it/images/stories/coiante/coiantecostonucleare.pdf”.
“Risulta particolarmente difficile stabilire il costo attuale degli impianti, perché sui prezzi aleggiano sempre elementi di ambiguità, come in tutte le cose che riguardano il nucleare. Non è possibile far riferimento ad un preciso listino dei prezzi, perché esso non esiste. Il prezzo di ogni impianto risulta sempre da una trattativa riservata tra il fornitore e l’acquirente, in cui giocano sovente aspetti di carattere politico e la cui conclusione non è mai resa di pubblico dominio. Esiste poi una ulteriore aleatorietà nel fatto che il prezzo finale della centrale chiavi in mano è sempre molto diverso da quello dell’ordine a causa del costo aggiunto dal fattore tempo. Dall’ordine di acquisto all’entrata in esercizio il tempo si misura in circa 10 anni e in tale lasso temporale molte cifre possono cambiare. […] Nel 1995 è entrata in esercizio la sezione B della centrale inglese di Sizewell. I dati di spesa a consuntivo, rivalutati al 2003, sono stati di 3800 euro/kW (The Times del 27/7/1993). Nel 2003 è iniziata la costruzione della centrale finlandese di Oikiluoto da 1600 MWe il cui costo è stato annunciato in 3 miliardi di euro (A. Clerici, 2005). Pertanto, a meno del solito lievitare dei prezzi durante i 6 anni di previsione per l’entrata in esercizio, il prezzo dell’impianto sarebbe di 1875 euro/kW. Il primo è un costo a consuntivo, mentre il secondo è un costo a preventivo. In definitiva potremo assumere come ragionevole un prezzo intermedio tra i due e cioè: Inucl = 2800 euro/kW Pressappoco allo stesso valore (2500 euro/kW) è pervenuta anche la ricerca effettuata da Massimo Ippolito, inviata come email nel sito del Forum sul Petrolio del 29/4/06”.

Al di là appunto di un calcolo che non può che essere eseguito spannometricamente, dobbiamo però rilevare che i costi delle nuove centrali sono più che raddoppiati dal 2000, dato che possiamo ricavare dal recente indice IHS CERA Power Capital Cost Index (PCCI, vedi il grafico successivo).
L’indice ora registra 231 punti, ciò significa che una centrale che costava nel 2000 1 miliardo di dollari, ora costa in media 2,31 miliardi. La maggior parte dell’incremento di questi costi è avvenuto dal 2005, con un aumento dell’indice del 69%. Il PCCI senza il nucleare è aumentato anch’esso, ma in misura minore, raggiungendo 181 punti, con ciò indicando che l’importo maggiore per materiale e lavoro sono stati richiesti per unità nucleari.

Dal sito dell’associazione “Ambiente Scienze” (www.xall.net/worldwewant/?p=690) si cita un interessante studio del MIT.
“[…] del ma
ggio 2009, sempre dal citato Studio del MIT di Boston, a proposito del costo di costruzione di una centrale nucleare apprendiamo che, il trend delle spese di costruzione delle centrali nucleari, come tutte le tipologie di grandi progetti di ingegneria, ha avuto un tasso di incremento annuo attorno al 15%: in soli 4 anni (dal 2003 al 2007) esso è raddoppiato, da 2000$ a 4000$ al KW! Parlando delle centrali di nostro interesse che sono da 1600MW, prime al mondo, con reattore di IIIª generazione plus a tecnologia EPR della Areva, non possiamo che ricorrere alla esperienza della finlandese Olkiluoto 3, la più avanzata in costruzione e che sarà pronta, forse, nel 2012. In forte ritardo nella consegna (doveva avvenire nel 2009) per i tanti problemi incontrati, ha già superato i 6 miliardi di € a fronte di un costo preventivato di 3,2mld. A questo proposito, le previsione di costo presentate di recente dall’Enel (ottobre 2009) hanno lasciato molto perplessi coloro che scientificamente seguono la vicenda del nucleare in Italia. Si parla, infatti, di un costo per le prime quattro centrali EPR da 1,60GW di 4/4,5 miliardi di euro per ogni centrale. Un dato che si scontra clamorosamente non soltanto con i costi di Olkiluoto 3 da consegnare tra tre anni e già oltre i 6 miliardi di €, ma anche con le ultime quotazioni internazionali. La stessa Areva, la società francese dalla quale Enel compererà le centrali, ha predisposto un’offerta in Canada di 23,6 miliardi di dollari per due impianti dello stesso tipo. Cioè circa 7,8 miliardi di € ciascuna, esclusa la garanzia della copertura di eventuali innalzamenti dei prezzi, quella mancanza di garanzia che ha messo in ginocchio la compagnia francese nella realizzazione della già citata centrale finlandese di Olkiluoto 3. Altro dato che mette in mora quelli dell’Enel. In Turchia la russa Atomstroyexport ha perso una gara per avere proposto la produzione di elettricità nucleare all’esorbitante costo di 21,16€ cents per kWh, contro un prezzo medio di vendita nel Paese di 7,9€ cents per kWh.”

Andiamo a vedere cosa è successo per altre centrali. Le previsioni 2007 hanno riportato notevoli incertezze per ciò che riguarda i costi, e variano notevolmente da 2.950$/kWe (costo overnight) a una stima conservativa di Moody’s tra $5.000 e $6.000 / kWe (costo finale o “all-in”).
Tuttavia, i prezzi delle materie prime sono aumentate nel 2008 (vedi grafico), e così tutti i tipi di centrali si sono rivelate più costose

di quelle progettate in precedenza. Nel giugno 2008 Moody’s stimava che il costo di installazione di nuove centrali nucleari negli Stati Uniti avrebbe potuto superare i $7,000/kWe.
I prezzi riportati per sei nuovi reattori ad acqua pressurizzata sono indicativi dei costi per questo tipo di impianto:
1 –
Febbraio 2008 – Per due nuovi reattori AP1000 in Turchia della Power & Light il calcolo del costo del capitale overnight oscillava da 2.444$ a 3.582$ per kW, prevedendo l’inclusione delle torri di raffreddamento, il funzionamento del sito, il costo dei terreni, i costi di trasmissione e gestione del rischio per un totale che variava da 3.108 a 4.540 dollari per kilowatt. L’aggiunta di oneri finanziari ha fatto crescere le cifre complessive da 5.780$ a 8.071 $ per kW.
2 –
Marzo 2008 – Per due nuovi reattori AP1000 in Florida la Progress Energy ha annunciato che, se costruiti entro 18 mesi l’uno dall’altro, il costo per il primo sarebbe stato di 5.144 dollari per kilowatt e per il secondo di 3.376$/kW: totale 9,4 miliardi dollari. Compresi i terreni, i componenti degli impianti, le torri di raffreddamento, i costi di finanziamento, la domanda di licenza, i diritti di regolamentazione, il carburante iniziale per le due unità, le assicurazioni e le tasse, il totale sarebbe stato di circa 14 miliardi di dollari.
3 –
Maggio 2008 – Per due nuovi reattori AP1000 in South Carolina, la South Carolina Electric and Gas Co. e Santee Cooper prevedevano di pagare 9,8 miliardi dollari (che include previsioni di inflazione e le spese dei proprietari per la preparazione del sito, imprevisti e project financing).
4 –
Novembre 2008 – Per due nuovi reattori AP1000 sul suo sito di Lee, la Carolina Duke Energy ha incrementato la stima dei costi a $11 miliardi, esclusa l’inflazione, ma a quanto pare includendo anche altri costi.
5 –
Novembre 2008 – Per due nuovi reattori AP1000 del sito di Bellefonte, la TVA ha aggiornato le proprie stime dei costi di capitale overnight che andavano da $2.516 a $4649/kW per un costo complessivo di costruzione che variava da 5,6 a 10.4 miliardi (costo totale di 9,9 dollari a 17,5 miliardi).
Il 9 aprile 2008, la Georgia Power Company ha raggiunto un accordo per il contratto di due reattori AP1000 che dovevano essere costruiti a Vögtle, per un costo stimato finale di 14 miliardi dollari, più 3 miliardi di dollari per gli aggiornamenti necessari.

Nel già citato studio del MIT di maggio 2009, abbiamo anche un aggiornamento sul costo delle materie prime. Si afferma infatti che “dal 2003 i costi di costruzione per tutti i tipi di grandi progetti di ingegneria sono aumentati drammaticamente. Il costo stimato per la costruzione di una centrale nucleare è aumentato ad un tasso del 15% all’anno”. Questo si basa sia per il costo delle effettive costruzioni in Giappone e Corea sia per il costo previsto di nuovi impianti negli Stati Uniti.
I costi di capitale sia per il carbone che per il gas naturale sono aumentati.
Considerati entrambi, questi costi crescenti lasciano la situazione (di costi relativi) vicina ai dati del 2003. Il costo del capitale overnight è stato calcolato da $ 4.000/kW, in dollari del 2007. Applicando lo stesso costo del capitale del nucleare al carbone e al gas, l’energia nucleare viene prodotta a 6,6c / kWh, il carbone a 8,3 centesimi e il gas a 7,4 centesimi.
 Per quanto riguarda i costi di costruzione delle centrali, abbiamo alcuni altri dati recenti per il costo del capitale overnight (o Engineering, Procurement and Construction – costo EPC ):

EdF Flamanville EPR: EUR 4 miliardi/$5.6 miliardi, EUR 2434/kW or $3400/kW
Bruce Power Alberta 2×1100 MWe ACR, $6.2 miliardi, $2800/kW
CGNPC Hongyanhe 4×1080 CPR-1000 $6.6 miliardi, $1530/kW
AEO Novovronezh 6&7 2136 MWe net for $5 miliardi, $2340/kW
KHNP Shin Kori 3&4 1350 MWe APR-1400 for $5 miliardi, $1850/kW
FPL Turkey Point 2 x 1100 MWe AP1000 $2444 a $3582/kW
Progress Energy Levy county 2 x 1105 MWe AP1000 $3462/kW
NEK Belene 2×1000 MWe AES-92 EUR 3.9 miliardi, EUR 1950 or $3050/kW
UK composite projection $2400/kW
NRG South Texas 2 x 1350 MWe ABWR $8 miliardi, $2900/kW
CPI Haiyang 2 x 1100 MWe AP1000 $3.25 miliardi, $1477/kW
CGNPC Ningde 4 x 1000 MWe CPR-1000 $7.145 miliardi, $1786/kW
CNNC Fuqing 2 x 1000 MWe CPR-1000 (?)
$2.8 miliardi, $1400/kW
CGNPC Bailong/Fangchengang 2 x 1000 MWe CPR-1000 $3.1 bilion, $1550/kW
CNNC Tianwan 3&4, 2 x 1060 MWe AES-91 $3.8 miliardi, $1790/kW
AEP Volgodonsk 3 & 4, 2 x 1200 MWe VVER $4.8 miliardi, $2000/kW


Ci sono diverse possibili cause di variazione, che escludono il confronto dei costi overnight e i costi di capitale EPC – ad esempio se il carico iniziale di carburante è incluso. Molto più evidente è se il prezzo è per l’isola nucleare da sola (Nuclear Steam Supply System) o per l’intera centrale, comprese le turbine e i generatori – tutti le informazioni sopra riportate comprendono tali dati. Ulteriori differenze riguardano il fatto che il sito funzioni con torri di raffreddamento, in questo caso di solito le spese sono tutte a carico dei proprietari. I costi di finanziamento sono aggiuntivi, in genere l’aggiunta è di circa il 30%, e infine c’è la questione relativa al fatto che le cifre vengono calcolate in base al valore corrente del dollaro o a quello dell’anno in cui la spesa è stata deliberata.

Alla fine del 2008, EdF ha aggiornato la stima dei costi overnight della centrale EPR di Flamanville (la prima EPR francese, ma con contratto di fornitura bloccato prima dell’escalation) a 4 miliardi di euro nel 2008 (EUR 2434/kW), e il costo dell’energia elettrica a 5,4 centesimi / kWh (rispetto ai 6,8c / kWh per le centrali a ciclo combinato e di 7,0 c / kWh per il carbone “). Tali costi sono stati confermati a metà del 2009, quando EdF aveva speso quasi 2 miliardi di euro. Una seconda unità sarebbe più costosa, e potrebbe produrre energia a 5,5-6,0 cent / kWh.
In generale, la scelta dell’impianto dipende anche dalla situazione economica ed internazionale del paese. L’energia nucleare richiede un’alta intensità di capitale, mentre i costi del carburante sono molto più significativi per i sistemi basati sui combustibili fossili.

Ci sono molti altri studi disponibili, compresa la relazione di giugno 2007 del “The Keystone Center”, intitolata “Nuclear Power Joint Fact-Finding”. Questo studio, che è stato finanziato da vari operatori di impianti nucleari, nonché dalle altre parti interessate, tra cui General Electric e NEI, stima i costi overnight a $2.950/kWe (dollari 2007). Con gli interessi, questa cifra si traduce in 3.600-4.000/kWe.
È interessante notare che, quando è stato pubblicato questo documento, la stampa industriale nucleare ha scelto di concentrarsi su due altri aspetti – in particolare la conclusione che il nucleare è una valida opzione per affrontare i cambiamenti climatici – o ignorare la relazione del tutto.
Tuttavia, per quanto le cifre possano apparire a prima vista proibitive, anche queste stime del rapporto Keystone Center sono considerate troppo basse da alcuni osservatori.
Un c
onsulente energetico indipendente ed ex direttore dell’azienda energetica Seattle City Light Jim Harding ha detto che considerava la cifra più bassa della relazione, vale a dire $3.600/kWe, non più credibile e il limite massimo di $4.000/kWe come “probabilmente bassa. ”

Un documento di Harding, pubblicato dalla Policy Education Center, nel giugno 2007 e intitolato “Economia nucleare di nuova generazione e rischi di proliferazione”, afferma: “i costi di costruzione finale in tempo reale (dollari 2007) vanno da $4.300 a 4.550/kWe. Questa cifra non è lontana da una stima di maggio 2007 di $ 4.000/kWe pubblicata da Standard & Poor’s, ma è anche probabilmente troppo bassa, dati i tempi di costruzione e le incertezze sulla reale dei prezzi in corso “.
Ancora più di recente, segnalo un commento speciale rilasciato da Moody’s Investors Service, il 10 ottobre di quest’anno, intitolato “nuovi impianti nucleari di generazione negli Stati Uniti”: esso ha stimato i costi “all-in” di una centrale nucleare tra $5.000 e $6.000/kWe. La relazione ha tuttavia fornito una nota di cautela, affermando: “Pur riconoscendo che la nostra stima è solo di poco più attendibile di una supposizione, è anche una stima più prudente rispetto ai dati correnti di mercato.”

Spiegando le carenze delle stime dei costi in modo più approfondito, la relazione afferma: “l’assunto che i costi di capitale potrebbero essere significativamente superiore a $ 3.500/kWe dovrebbe essere sostenuto da alcune analisi”. Detto questo, Moody’s non può confermare la stima definitiva per i nuovi costi nucleare in questo momento. Moody’s può affermare con certezza che vi è una notevole incertezza per quanto riguarda il costo del capitale del nuovo nucleare, e che le imprese interessate possono decidere di non procedere con il finanziamento e la costruzione a meno che, e fino a quando, non sono sono in grado di giustificare l’investimento, in modo che l’impianto possa produrre energia elettrica e recuperare i costi ad un prezzo che non sarà eccessivamente oneroso per i consumatori. ”
Secondo Moody’s, le aziende che costruiscono nuove centrali nucleari vedranno un marcato aumento del loro business e dei rischi operativi a causa delle dimensioni e della complessità di questi progetti, i vari ritardi che avvengono durante la costruzione, e l’incertezza sui costi finali e sui recuperi della spesa.

Due dei sostenitori dell’utilità dello studio di Keystone Center erano American Electric Power (AEP) e Florida Power & Light (FPL). Fin dalla sua pubblicazione, i capi di queste utility hanno pubblicamente dichiarato che ritengono che il costo di un nuovo impianto potrà essere in linea con la previsione della relazione. Alla fine di agosto, Tulsa World ha riferito che Michael Morris, CEO di AEP, ha detto AEP non ha intenzione di costruire nuovi impianti nucleari probabilmente a causa dei ritardi, e dei vincoli della catena di approvvigionamento, e che una stima “realistica” dei costi sarebbe di circa $ 4000/kWe.
Gli stessi problemi sono stati descritti in dettaglio da Lew Hay, presidente e CEO di FPL, nell’Assemblea generale della World Association of Nuclear Operators (Wano), svoltasi a Chicago, Illinois, il 23-25 settembre. Hay ha raccontato durante l’incontro: “Anche se i fornitori affermano di poter tenere i costi overnight da 2.500 dollari a 3.500 dollari per kilowatt, credo che i costi all-in saranno molto più elevati – probabilmente il doppio di una volta a causa di fattori come le torri di raffreddamento , lo switchyard, etc, l’interesse durante la costruzione e l’escalation dei costi a causa dell’inflazione e di superamento dei costi. E, naturalmente, dobbiamo avere una contingenza come bene “.
Ha continuato: “Se le nostre stime dei costi sono vicine al giusto, il costo di un impianto di due unità sarà nell’ordine di grandezza di 13-14 miliardi di dollari. Che è più della capitalizzazione totale di mercato di molte aziende del settore utility Stati Uniti e il 50% o più della capitalizzazione di mercato di tutte le imprese del nostro settore, con l’eccezione di Exelon. ”
Questo, ha detto “è una scommessa enorme per qualsiasi amministratore delegato”.

Finora abbiamo parlato di cifre, parecchie cifre. Tuttavia, non è così facile verificarle perché il settore è spesso avverso a rivelare tali informazioni. Ad esempio, il valore del contratto per la fornitura di quattro unità AP1000 in due siti in Cina potrebbe fornire una buona indicazione su cosa ci si debba aspettare da un impianto AP1000 negli Stati Uniti. Ma questo sembra essere un segreto gelosamente custodito. D’altra parte, in una conferenza stampa all’inizio di settembre 2007, al presidente e amministratore delegato di Westinghouse Steve Tritch è stato chiesto se la sua azienda sarebbe in grado di dire quanto sarebbe costato un AP1000. Ha risposto che Westinghouse avrebbe dato un prezzo entro i successivi due mesi, una volta che si fosse giunti nella fasi più avanzate del progetto. Uno degli errori del passato, ha detto, era di permettere alle utilities di avere mano libera sulla progettazione e che oggi la tendenza è di uniformarle, per quanto possibile.
Insomma, parlando cifre, tutto è possibile. In particolare, sarebbe necessario scongiurare eventuali ritardi in fase di costruzione. E, inoltre, affidarsi a partner molto esperti per impianti con una progettazione già sperimentata. Sulla spesa è quindi impossibile essere precisi, ma è probabile che le cifre citate autorizzano a credere che la spesa per la costruzione degli impianti dovrebbe alla fine risultare molto più elevata rispetto a ciò che si pensa.

 

Written by sistemielettorali

15 dicembre 2009 at 21:01

Il sistema elettorale maggioritario

with one comment

Nelle discussioni precedenti abbiamo trattato i sistemi elettorali in base alle elezioni attuali. Abbiamo descritto anche in maniera più ampia i sistemi proporzionali e il voto singolo trasferibile. Ora parliamo in maniera più organica dei sistemi maggioritari.

Il principio dei sistemi maggioritari è semplice. Dopo che i voti sono stati espressi e sommati, i candidati o partiti con il maggior numero di voti sono dichiarati vincitori (possono esserci anche condizioni aggiuntive, anzi, spesso ve ne sono). Tuttavia, il modo in cui questo risultato viene ottenuto varia ampiamente. Possiamo identificare cinque varietà di sistemi maggioritari: il maggioritario semplice (FPTP), il voto bloccato (BV), il voto bloccato di lista (PBV), il voto alternativo (AV), e il doppio turno (TRS).

Il First Past The Post (FPTP)

Il maggioritario semplice, anche detto First Past the Post o plurality, è il più semplice sistema maggioritario che conosciamo, dal momento che utilizza distretti uninominali e un voto centrato sul singolo candidato.
All’elettore sono presentati i nomi dei candidati e dovrà sceglierne uno, e solo uno, di loro. Il candidato vincente è molto banalmente la persona che ottiene il maggior numero di voti; in teoria potrebbe essere eletto con due voti, se ogni altro candidato ottiene un solo voto. Viene quindi richiesta la maggioranza relativa.
Fino ad oggi, i sistemi FPTP puri si trovano principalmente nel Regno Unito e in quei paesi storicamente influenzati dalla Gran Bretagna. Insieme con il Regno Unito, i casi più importanti di paesi che utilizzano il maggioritario “plurality” riguardano il Canada, l’India e gli Stati Uniti. Il FPTP è utilizzato anche da un certo numero di paesi caraibici; in America Latina dal Belize, in Asia da cinque paesi, Bangladesh, Birmania, India, Malesia e Nepal, e da molte piccole isole del Sud Pacifico. In Africa esso viene utilizzato in 15 paesi, per lo più ex colonie britanniche. In totale, circa il 22% degli stati utilizzano il sistema maggioritario semplice.

Vantaggi
Il FPTP, come la maggior parte dei sistemi elettorali maggioritari, è difeso in primo luogo per motivi di semplicità e per la sua tendenza a produrre vincitori che sono rappresentanti di ben definite aree geografiche. La maggior parte dei vantaggi citati sono i seguenti:
A – Esso fornisce una scelta molto chiara per gli elettori tra i due principali partiti. Gli svantaggi incontrati dai partiti di minoranza o terzi partiti sotto il FPTP in molti casi fa sì che il sistema dei partiti graviti verso un partito di sinistra e uno di destra, al potere in alternanza. I terzi partiti spesso si indeboliscono e quasi mai raggiungono un livello di sostegno popolare sufficiente da garantire loro una minima percentuale di seggi in parlamento.
B – Questo sistema tende ad originare governi a partito unico. Il bonus in termini di seggi per il partito più votato in un sistema FPTP (ad esempio, quando una parte ottiene il 45% dei voti nazionali e il 55% dei seggi), significa che i governi di coalizione sono l’eccezione piuttosto che la regola. Questo stato di cose viene lodato perché garantisce governi che non sono bloccati da restrizioni dovute alle contrattazioni con un partner di coalizione. In realtà, noi ora stiamo semplificando molto. In realtà, non è detto che il maggioritario crei un governo monocolore né tantomeno un sistema bipartitico (vedi l’esperienza di casa nostra).
C – Esso dà luogo ad una opposizione coerente per tutta la legislatura. In teoria, il rovescio della medaglia di un forte partito unico al governo è che anche all’opposizione vengono assegnati abbastanza seggi per svolgere un ruolo fondamentale di controllo e per presentarsi come un’alternativa realistica al governo.

D – Esso avvantaggia i partiti presenti a livello nazionale. In società divise in maniera netta a livello etnico o regionale, il FPTP viene apprezzato per il fatto che incoraggia i partiti politici ad essere il più possibile inclusivi, comprendendo molti elementi della società, in particolare quando ci sono solo due grandi partiti e diversi gruppi sociali. Tali soggetti possono quindi mettere in campo diverse candidature per le elezioni. In Malesia, per esempio, il governo Barisan Nasional è costituito da un movimento con un’ampia base di candidati malesi, cinesi e indiani nelle zone maggiormente difficili dal punto di vista etnico.
E – Esso esclude i partiti estremisti da una rappresentanza nella legislatura. A meno che un partito estremista di minoranza sia geograficamente concentrato, è improbabile che vinca alcun seggio in un sistema FPTP. Al contrario, nell’ambito di un sistema proporzionale con una circoscrizione unica nazionale, una percentuale anche solo dell’1% dei voti a livello nazionale è in grado di garantire la rappresentanza in parlamento.
F – Esso promuove un legame tra elettori e i loro rappresentanti, in quanto produce una legislatura composta da rappresentanti delle aree geografiche. I membri eletti rappresentano definite zone di città, paesi o regioni. Alcuni analisti hanno sostenuto che questa ”responsabilità geografica” è particolarmente importante nelle società contadine e nei paesi in via di sviluppo.
G – Esso consente agli elettori di scegliere tra persone e non solo tra partiti. Gli elettori sono in grado di valutare le prestazioni dei singoli candidati piuttosto che dover accettare un elenco di candidati presentati da una lista, come può accadere in alcuni sistemi elettorali proporzionali.
H – Il FPTP dà la possibilità a candidati indipendenti popolari di essere eletti. Questo può essere particolarmente importante nei sistemi di partito in fase di sviluppo, dove la politica ruota ancora attorno ai legami familiari, di clan o di parentela e non si basa su forti organizzazioni politiche.
I – Infine, i sistemi FPTP sono particolarmente apprezzati per essere semplici da usare e capire. Un voto valido richiede solo un segno accanto al nome o il simbolo di un candidato. Anche se il numero dei candidati sulla scheda elettorale è grande, il conteggio è semplice.

Svantaggi
Tuttavia, FPTP è spesso criticato per una serie di motivi. Questi sono:
A – Esso esclude i partiti minori da una giusta rappresentanza, nel senso che un partito che ottiene, ad esempio, il 10% dei voti dovrebbe ottenere circa il 10% dei seggi. Nelle elezioni federali del 1993 in Canada i Conservatori progressisti conquistarono il 16% dei voti, ma solo lo 0,7% dei seggi, e nel 1998 nelle elezioni generali nel Lesotho il Basotho National Party ottenne il 24% dei voti, ma solo l’1% dei seggi. Questo è uno schema che si ripete sempre nel sistema maggioritario semplice. E, sopratutto, nei casi di partiti che raccolgono i loro suffragi in maniera omogenea sul territorio.
B – Esso esclude le minoranze da una rappresentanza equa. Come di norma, nel sistema FPTP, i partiti presentano il candidato più accettabile in un particolare distretto, in modo da evitare di alienarsi la maggioranza degli elettori. Così è raro, ad esempio, per un candidato nero essere presentato da un principale partito in un quartiere a maggioranza bianca in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, e vi è forte evidenza che le minoranze etniche e razziali in tutto il mondo sono di gran lunga meno rappresentate nei parlamenti eletti con sistema maggioritario. Di conseguenza, se il comportamento di voto si intreccia con le divisioni etniche, allora l’esclusione dalla rappresentanza dei membri
dei gruppi di minoranza etnica può essere destabilizzante per il sistema politico nel suo insieme.
C – Esclude le donne dalla legislatura. La sindrome del “candidato maggiormente accettabile” colpisce anche la capacità delle donne di essere elette, perché hanno meno probabilità di essere scelte come candidate da partiti con una struttura dominata dal sesso maschile. Evidenti prove in tutto il mondo suggeriscono che le donne hanno meno probabilità di essere elette nei sistemi maggioritari che in quelli proporzionali. Uno studio dell’Unione Inter-Parlamentare delle donne ha rilevato che, in media, il 15,6 per cento dei rappresentanti nelle camere basse erano donne. Confrontando le democrazie stabili nel 2004, quelle che utilizzano sistemi maggioritari hanno in media il 14,4% di donne in Parlamento, ma la cifra è quasi la metà rispetto al 27,6% in quei paesi che utilizzano varie forme di proporzionale. Questo modello si ripete nelle nuove democrazie, soprattutto in Africa.
D – Esso può favorire lo sviluppo di partiti politici sulla base di clan, etnia o regione, che possono basare le loro campagne e le piattaforme politiche su programmi che sono condivisi dalla maggior parte delle persone nella loro provincia o regione, ma escludere od essere ostili nei confronti di altri. Questo è un problema molto serio nei paesi africani come il Malawi e il Kenya, dove grandi gruppi locali tendono ad essere molto concentrati. Il paese è così suddiviso geograficamente in roccaforti separate, con uno scarso incentivo per i partiti di cercare alleanze al di fuori della loro regione d’origine.
E – il sistema enfatizza il fenomeno dei “feudi regionali” in cui un partito vince tutti i seggi in una determinata provincia. Se un partito ha un forte sostegno in una parte specifica del paese, ottenendo la maggioranza dei voti, conquisterà tutti o quasi tutti i seggi in quella determinata zona. Questo esclude dalla rappresentanza le minoranze in quella zona e rafforza la percezione che la politica è un campo di battaglia definito da chi sei e da dove vivi piuttosto che da quello che proponi. Questo è stato a lungo presentato come un argomentazione contro il FPTP in Canada.
F – produce un gran numero di voti sprecati che non vengono utilizzati per l’elezione di un qualsiasi candidato. Ciò può essere particolarmente pericoloso se combinato con feudi regionali, perché simpatizzanti del partito di minoranza in quella regione potrebbero cominciare a percepire che non hanno una realistica speranza di eleggere un candidato di loro scelta. Può anche essere pericoloso laddove l’alienazione dal sistema politico aumenta la probabilità che gli estremisti siano in grado di mobilitare gruppi anti-sistema.
G – può causare panachage. Nei casi in cui due partiti o candidati simili concorrano in un sistema FPTP, il voto dei loro potenziali sostenitori risulta spesso diviso tra di loro, permettendo così ad un candidato meno votato di vincere il seggio. Papua Nuova Guinea fornisce un esempio particolarmente chiaro in tal senso.
H – Esso può essere insensibile ai cambiamenti dell’opinione pubblica. Un modello di sostegno elettorale geograficamente concentrato in un paese significa che una parte può mantenere in esclusiva il controllo dell’esecutivo a fronte di una notevole diminuzione complessiva del sostegno popolare. In alcune democrazie con sistema FPTP, con un calo dal 60% al 40% dei voti, un partito a livello nazionale può vedere una caduta dall’80% al 60% nel numero di seggi, che non pregiudica la sua posizione globale dominante. A meno che molti seggi non siano altamente competitivi, il sistema può essere insensibile alle oscillazioni della pubblica opinione ed assegnare quindi la vittoria sempre alla stessa forza politica.
I – Infine, i sistemi FPTP dipendono dal disegno delle circoscrizioni elettorali. Come ho già spiegato in un post precedenti, tutti i confini dei collegi elettorali hanno conseguenze politiche: non c’è un processo tecnico per produrre una sola risposta “corretta” indipendentemente dalle considerazioni politiche. Le delimitazioni di confine possono richiedere tempo e risorse se i risultati devono essere accettati come legittimi. Ci può essere anche una pressione per manipolare i confini con metodi poco puliti (leggasi gerrymandering). Ciò è stato particolarmente evidente nelle elezioni in Kenya del 1993, quando enormi disparità esistenti tra le diverse dimensioni delle circoscrizioni elettorali, il più grande aveva 23 volte il numero dei votanti del più piccolo, contribuì alla vittoria del Kenya African National Union Party grazie ad una grande maggioranza prodotta da solo il 30% di suffragi ottenuti.

Il Voto Bloccato

Il voto bloccato significa semplicemente l’utilizzo del voto a maggioranza relativa in circoscrizioni plurinominali. Gli elettori hanno tanti voti quanti sono i seggi da assegnare nella loro circoscrizione, e di solito sono liberi di votare per i singoli candidati indipendentemente dal partito. Nella maggior parte dei sistemi con voto bloccato, essi possono utilizzare tutti (o anche meno) i voti a loro disposizione. Il voto bloccato è comune nei paesi con partiti politici deboli o inesistenti. Ad oggi, il voto bloccato viene utilizzato nei seguenti paesi: le Isole Cayman, le Falkland, Guernsey, Kuwait, Laos, Libano, le Maldive, la Palestina, la Siria, Tonga e Tuvalu. Il sistema è stato utilizzato anche in Giordania nel 1989, in Mongolia nel 1992, e nelle Filippine e in Thailandia fino al 1997, ma fu cambiato in tutti questi paesi a causa dei risultati prodotti.

Vantaggi
Il voto bloccato è spesso apprezzato per il fatto che gli elettori votino per i singoli candidati e poichè consente comunque la formazione di circoscrizioni di dimensioni geografiche ragionevoli, mentre al tempo stesso rafforza il ruolo dei partiti rispetto al sistema FPTP e soprattutto quei partiti che dimostrano maggior coerenza e capacità organizzativa.

Svantaggi
Il voto bloccato può avere imprevedibili e spesso indesiderati esiti sui risultati elettorali. Ad esempio, quando gli elettori assegnano tutti i loro voti ai candidati di un unico partito, il sistema tende a presentare la maggior parte degli svantaggi del FPTP, in particolare la sua disproporzionalità. Quando i partiti scelgono un candidato per ogni seggio vacante in un sistema di voto bloccato e incoraggiano gli elettori a sostenere tutti i membri della loro lista, ciò è particolarmente probabile. A Mauritius, nel 1982 e nel 1995, ad esempio, il partito all’opposizione, prima delle elezioni, vinse tutti i seggi nella legislatura con solo, rispettivamente, il 64 e il 65 per cento dei voti. Ciò ha creato gravi difficoltà per l’efficace funzionamento di un sistema parlamentare basato sui concetti di governo e di opposizione. Il sistema di assegnare una parte dei seggi ai “migliori perdenti”, compensa solo in parte questa debolezza.
In Thailandia, il voto bloccato è stato visto come un incoraggiamento alla frammentazione del sistema partitico. Poiché consente agli elettori di votare per i candidati di più di un partito nello stesso distretto, i membri dello stesso partito possono essere incoraggiati a farsi concorrenza uno contro l’altro per la ricerca del voto. Il voto bloccato è quindi a volte visto come uno strumento in grado di incoraggiare la corruzione e il frazionismo intra-partitico.
Negli ultimi anni, un certo numero di paesi ha quindi abbandonato il voto bloccato a favore di altri sistemi. La Thailandia e le Filippine hanno entrambe cambiato il voto bloccato in un sistema misto alla fine degli anni ‘90. In entrambi i casi, una motivazione importante per il cambiamento è stata la necessità di combattere la compravendita di voti e di rafforzare lo sviluppo dei partiti politici.

Il voto bloccato di lista

Il voto bloccato di lista, a differenza del FPTP, presenta circoscrizioni plurinominali. Gli elettori hanno un solo voto, e possono scegliere tra le liste di partito, piuttosto che tra singoli candidati. La lista che ottiene il maggior numero di voti conquista tutti i seggi della circoscrizione, e la sua
intera lista di candidati è regolarmente eletta. Come nel FPTP, non vi è alcun obbligo per il vincitore di avere la maggioranza assoluta dei voti. Nel 2004, il voto bloccato di lista è stato utilizzato come unico sistema o come componente principale del sistema elettorale in quattro paesi: Camerun, Ciad, Gibuti e Singapore.

Vantaggi
Il voto bloccato di lista è semplice da usare, incoraggia la formazione di partiti forti e consente ai partiti di formare liste miste di candidati al fine di facilitare la rappresentanza delle minoranze. Può essere usato per ottenere la garanzia di rappresentanza equilibrata delle etnie, così come
consentire alle formazioni politiche di presentare liste etnicamente diverse di candidature per l’elezione e può essere effettivamente
progettato per costringere i partiti a far ciò. A Gibuti ogni lista di partito deve comprendere un mix di candidati provenienti da diversi gruppi etnici. A Singapore, la maggior parte dei membri del Parlamento sono eletti in circoscrizioni plurinominali. Dei candidati di ciascun partito o di ciascuna lista, almeno uno deve essere membro della comunità malese, indiana o di qualche altra minoranza.
Singapore assegna anche seggi al “miglior perdente” per i candidati di opposizione in alcune circostanze.
Altri paesi, per esempio, il Senegal e la Tunisia, utilizzano il voto bloccato di lista come parte di un sistema misto plurality/majority.

Svantaggi
Tuttavia, il voto bloccato di lista soffre anche della maggior parte degli svantaggi del FPTP, e può effettivamente produrre risultati altamente sproporzionali in cui un partito vince quasi tutti i seggi con una maggioranza semplice dei voti. A Gibuti, nelle elezioni del 1997, il partito “Unione per la coalizione presidenziale” conquistò tutti i seggi, lasciando i due partiti di opposizione senza alcuna rappresentanza in parlamento.

Il Voto Alternativo

Le elezioni con Voto Alternativo si tengono di solito in collegi uninominali, come per il FPTP. Tuttavia, il voto alternativo offre agli elettori molte più opzioni sulla scheda elettorale di quando faccia il FPTP. Piuttosto che limitarsi a indicare il loro candidato favorito, gli elettori possono stilare una graduatoria di candidati secondo l’ordine di loro scelta, segnando un “1 per il loro preferito, “2” per la loro seconda scelta, “3” per la loro terza scelta e così via. Il sistema in questo modo consente agli elettori di esprimere le loro preferenze tra più candidati piuttosto che indicare solamente la loro primo scelta. Per questo motivo, spesso è conosciuto come “voto di preferenza” nei paesi che lo utilizzano.
Il voto alternativo differisce anche dal FPTP per il modo in cui i voti sono contati. Come il FPTP o il doppio turno, un candidato che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (50 per cento più uno) è subito eletto. Se nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta, nel voto alternativo il candidato con il minor numero di prime preferenze è “eliminato” dal conteggio, e suoi voti sono esaminati in merito alle seconde preferenze. Ogni scheda è poi trasferita in base a quale candidato non eletto ottiene il più alto numero di prime preferenze, come indicato sulla scheda elettorale. Questo processo viene ripetuto fino a quando un candidato conquista la maggioranza assoluta, ed è quindi dichiarato eletto. Il voto alternativo è un sistema che produce risultati maggioritari.

E’ possibile, ma non essenziale, che nei sistemi di preferenza come il voto alternativo si chieda agli elettori di classificare tutti, o quasi, i candidati presenti nella scheda elettorale. Questo evita la possibilità di voti non utilizzati in una fase successiva del conteggio, a causa del fatto che le schede non riportano alcuna valida preferenza. Tuttavia, ciò può portare ad un aumento del numero di voti non validi, e a volte può far assumere grande rilevanza alle preferenze dei candidati verso i quali l’elettore è indifferente o abbia una forte antipatia

Il voto alternativo è utilizzato in Australia, nelle Fiji e Papua Nuova Guinea. E’ quindi un buon esempio di diffusione regionale dei sistemi elettorali discussi in precedenza: tutti gli esempi di voto alternativo al momento si trovano in Oceania. Tuttavia, un numero di sub-giurisdizioni nazionali in Europa e Nord America utilizzano varianti di voto alternativo, ed esso viene anche utilizzato per le elezioni presidenziali nella Repubblica d’Irlanda.

Vantaggi
Un vantaggio del trasferimento delle schede è che consente ai voti dei vari candidati di cumularsi, in modo che interessi diversi, ma legati, possano essere combinati per ottenere la rappresentanza. Il voto alternativo consente inoltre ai sostenitori dei candidati che hanno poche speranze di essere eletti di influenzare, attraverso le loro seconde preferenze o successive, l’elezione di un candidato maggiore. Per questo motivo, si è talvolta sostenuto che il voto alternativo è il sistema migliore per promuovere politiche centriste, in quanto può costringere i candidati a cercare non solo i voti dei loro sostenitori, ma anche le “seconde preferenze” degli altri. Per ottenere queste preferenze, i candidati devono fare ampio ricorso alle grandi questioni politiche piuttosto che concentrarsi su problemi di poco conto. L’esperienza del voto alternativo in Australia tende a sostenere questi argomenti: i partiti principali, per esempio, in genere cercano di stringere buone alleanze con i partiti minori per ottenere le seconde preferenze dei propri elettori prima di una campagna elettorale, un processo noto come “scambio di preferenze”. Inoltre, a causa del requisito della maggioranza assoluta, il voto alternativo aumenta il consenso dato ai membri eletti, e quindi è in grado di migliorare la loro percezione di legittimità. L’esperienza di voto alternativo a Papua Nuova Guinea e in Australia suggerisce che essa può fornire significativi incentivi per una politica di cooperazione. Negli ultimi anni, il voto alternativo e la sua variante del voto complementare, è stato adottato anche per le elezioni presidenziali e dei sindaci in Bosnia, Londra e San Francisco.

Svantaggi
Tuttavia, il voto alternativo ha anche una serie di svantaggi. In primo luogo, richiede un ragionevole grado culturale per essere utilizzato in modo efficace. In quanto operante in collegi uninominali spesso può produrre risultati che sono disproporzionali rispetto ai sistemi di rappresentanza proporzionali. Addirittura, in alcuni casi, rispetto al FPTP. Inoltre, il potenziale del voto alternativo per la promozione di politiche centriste è molto dipendente dalle sottostanti condizioni demografiche e sociali: mentre è stata promossa con successo interetnico in Papua Nuova Guinea nel corso degli anni ‘60 e ‘70, è stato criticato in un altro paese del Pacifico, le isole Fiji, dal momento in cui vi è stata introdotto nel 1997. Inoltre, come per il suo impiego nel Senato australiano nel periodo 1919-1946, il voto alternativo non funziona bene quando si applica in circoscrizioni plurinominali più ampie.

Il Doppio Turno (TRS)

La caratteristica centrale del sistema a doppio turno è quello suggerito dal nome: non è una elezione singola, ma si svolge in due turni, spesso ad una settimana o quindici giorni di distanza. Il primo turno si svolge nello stesso modo delle elezioni a turno unico. Nella forma più comune di TRS, questo è condotto utilizzando il FPTP. E’ però anche possibile condurre il TRS in circoscrizioni plurinominali che utilizzano un sistema di voto bloccato (come nella Repubblica di Kiribati) o voto bloccato di lista (come in Mali). Un candidato o partito che riceve una determinata percentuale di voti è eletto a titolo definitivo, senza bisogno di un secondo scrutinio. Questa percentuale consiste normalmente nella maggioranza assoluta dei voti validi espressi, anche se diversi paesi utilizzano una percentuale diversa quando si utilizza il TRS per eleggere un presidente. Se un candidato o un partito riceve la maggioranza assoluta, allora si svolge un secondo turno di votazione e il vincitore viene proclamato eletto.

I dettagli di come il secondo turno è organizzato in pratica variano da caso a caso. Il il metodo più comune è che esso rappresenti una contesa tra i due candidati più votati al primo turno; in questo caso è chiamato “run-off”. Esso produce un risultato che è realmente maggioritario, nel quale uno dei due partecipanti necessariamente raggiunge la maggioranza assoluta dei voti e viene quindi dichiarato vincitore. Un secondo metodo, il plurality, è utilizzato per le elezioni legislative in Francia, il paese più spesso associato con il sistema a doppio turno. In queste elezioni, ogni candidato che ha ricevuto una percentuale maggiore del 12,5% dei voti degli elettori registrati nel primo turno può partecipare al secondo turno. Chi ottiene il maggior numero di voti nel secondo turno è quindi proclamato eletto, indipendentemente dal fatto che abbiano ottenuto una maggioranza assoluta o meno. A differenza del “run-off”, questo sistema non è veramente maggioritario, in quanto vi possono essere anche 5 o 6 candidati che partecipano al secondo turno delle elezioni.

Sistemi a doppio turno vengono utilizzati in 22 parlamenti nazionali ed è il metodo più comune utilizzato in tutto il mondo per l’elezione diretta dei presidenti. Insieme con la Francia, molti degli altri paesi che utilizzano TRS sono stati territori dipendenti dalla Repubblica francese o sono stati storicamente influenzati in qualche modo dai francesi. Per le elezioni legislative, il TRS viene utilizzato dagli Stati della Repubblica dell’Africa Centrale, Congo (Brazzaville), Gabon, Mali, Mauritania e in Togo nell’Africa sub-sahariana francofona, in Egitto nel Nord Africa, dalle isole Comore, Haiti, Iran, Kiribati, e Vietnam, e da alcune repubbliche post-sovietiche (Bielorussia, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan). Pochi altri paesi come la Georgia, il Kazakistan e il Tagikistan utilizzano il TRS per eleggere i propri rappresentanti come parte di sistemi elettorali misti.

Vantaggi
A – In primo luogo, il TRS consente agli elettori di avere una seconda possibilità di voto per la loro scelta del candidato, o addirittura consente di cambiare le loro scelte tra il primo e il secondo turno. Esso quindi ha molti aspetti in comune con i sistemi di preferenza come il voto alternativo, in cui gli elettori sono invitati a ordinare i candidati, pur se consente agli elettori di fare una scelta del tutto nuova nel secondo turno, se lo desiderano.
B – Il TRS può incoraggiare l’aggregazione di diversi interessi con i vincitori del primo turno, incoraggiando in tal modo i compromessi tra partiti e candidati. Esso consente inoltre ai partiti e agli elettori di reagire ai cambiamenti nel panorama politico che si verificano tra il primo e il secondo turno di votazione.
C – Il TRS riduce i problemi di “panachage”, la situazione comune in molti sistemi maggioritari in cui due partiti o candidati simili si dividono tra loro il voto dello stesso elettorato, permettendo così ad un candidato meno votato di conquistare il seggio. Inoltre, poiché gli elettori non hanno la possibilità di classificare i candidati per esprimere la loro seconda scelta, il TRS può essere più adatto a paesi in cui l’analfabetismo è molto diffuso rispetto ai sistemi che utilizzano l’ordinamento come il voto alternativo o il voto unico trasferibile.

Svantaggi
A – Il TRS pone notevoli pressioni sull’amministrazione elettorale imponendo una seconda elezione poco tempo dopo la prima, in modo da aumentare in modo significativo sia il costo del processo elettorale nel suo insieme sia il tempo che intercorre tra l’elezione e la dichiarazione dei risultati. Questo può portare a instabilità e incertezza. Il TRS pone anche un onere supplementare per l’elettore, e talvolta vi è un forte calo di affluenza tra il primo turno e il secondo.
B – Il TRS condivide molti degli svantaggi del FPTP. Ricerche hanno dimostrato che in Francia esso produce i risultati più disproporzionali di ogni democrazia occidentale, e che tende alla frammentazione del sistema partitico nelle nuove democrazie.
C – Uno dei problemi più gravi con il TRS è per le sue implicazioni nelle società profondamente divise. In Angola nel 1992, in quella che doveva essere una elezione tesa a riportare la pace, il capo dei ribelli Jonas Savimbi è arrivato secondo al primo turno delle elezioni presidenziali. Come sarebbe stato chiaro che avrebbe perso il secondo turno, egli comprese di avere poco incentivo a svolgere il gioco di opposizione democratica e immediatamente ricominciò la guerra civile in Angola, che andò avanti per un altro decennio. In Congo (Brazzaville), nel 1993, le prospettive di un governo stabile franarono nel secondo turno delle elezioni e ciò portò l’opposizione a boicottare il secondo turno e a prendere le armi. In entrambi i casi, il segnale chiaro che un partito sarebbe probabilmente uscito perdente dalle elezioni fu il fattore scatenante della violenza. In Algeria nel 1992, il candidato del Fronte Islamico di Salvezza (Front Islamique du Salut, FIS) vinse al primo turno, e i militari intervennero per annullare il secondo turno.

Written by sistemielettorali

11 dicembre 2009 at 20:00

Nucleare: analisi dei costi. Tempi di costruzione.

with one comment

Cominciamo ad entrare più nel dettaglio in merito ai costi di una centrale nucleare.
Questo è fondamentale, poichè i costi fissi di un impianto nucleare rappresentano un dato che, in percentuale, incide in termini molto pesanti (circa il 55%). Nella seguente immagine le percentuali dei costi fissi sul totale per alcuni tipi di centrale.

Da uno studio intitolato “I Veri Costi dell’Energia Nucleare” (UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PISA, DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA MECCANICA NUCLEARE E DELLA PRODUZIONE, di V. Romanello, G. Lomonaco, N. Cerullo, http://www2.ing.unipi.it/~d0728/GCIR/Costi.pdf), abbiamo una prima analisi sui criteri di valutazione generale dei costi.
Lo studio afferma che: “seguendo una procedura consolidata, per prima cosa si devono considerare i costi fissi di impianto, che, nel caso di produzione elettronucleare, hanno una incidenza particolarmente elevata sul costo del prodotto finale. La valutazione di tali costi comprende:
– il costo nominale della centrale
– il suo tempo di realizzazione
– il tasso di interesse
– la durata della vita operativa prevista
– i fattori di disponibilità e carico
– i costi per lo smantellamento (comprese la custodia in sicurezza delle scorie) ed il recupero del sito

Naturalmente gran parte di queste voci sono presenti nei capitoli di spesa anche di altri tipi di impianto. Per gli impianti nucleari, però, esse sono particolarmente elevate, soprattutto per la rigorosa applicazione delle particolari norme di sicurezza e della garanzia della qualità, da sempre caratteristiche di questa tecnologia. Ad esempio a poter incidere molto significativamente sui costi può contribuire il tempo di realizzazione della centrale: è necessario quindi che la qualificazione del sito, particolarmente lunga e complessa per gli impianti nucleari, sia rapida.”
Cominciamo quindi a parlare dei tempi di realizzazione, dato su cui oggi in Italia si comincia a parlare con insistenza dopo i primi accordi preliminari con francesi e americani. Purtroppo le variabili sono tante, e tali, che è molto difficile fare previsioni. Qui di seguito alcune opinioni interessanti.

In data mercoledì 15 luglio 2009, l’ENEL, per bocca di Conti, afferma che la prima centrale potrà essere messa in cantiere nel 2013 ed essere completata non prima di 4-5 anni, verso il 2018 o poco dopo: giusto in tempo per subentrare al carbone, che intanto sarà diventato meno competitivo come prezzo.

Maurizio Ricci, di Repubblica scrive però che benché il ministro Scajola abbia più volte citato il 2018, come la data dell’entrata in produzione della prima centrale, i dirigenti dell’Enel preferiscono spostare questo appuntamento due anni più avanti, al 2020. Frutto (anche) dei tempi che occorrono per le necessarie autorizzazioni.
Si pensava che, fin da febbraio, ci sarebbe stata l’indicazione dei criteri con cui saranno selezionati
i siti più adatti alla costruzione delle centrali (anche se è già convinzione diffusa che la prima,
forse già con due reattori, sarà nel Lazio, sul posto dove sorgeva il vecchio impianto di Montalto di Castro).
Invece, nelle conversazioni con i giornalisti, i dirigenti dell’Enel hanno chiarito che, a febbraio, sarà
fissato soltanto, con i decreti legislativi, il quadro istituzionale in cui avverrà la scelta dei siti. I quali,
dunque, verranno indicati più tardi, dopo le elezioni regionali di primavera.”
(http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_52_20091006093606.pdf)
Dal sito dell’ENEA (http://titano.sede.enea.it/Stampa/skin2col.php?page=eneaperdettagliofigli&id=127):
Gli attuali reattori di III Generazione (AP1000 Westinghouse, EPR Areva) hanno un tempo di costruzione di circa 50 mesi. Ma va tenuto conto che prima della costruzione è necessario acquisire alcune autorizzazioni alla costruzione e alla messa in funzione. Questi tempi non sono univocamente definiti per cui ci si può riferire a casi concreti recenti, quali quello finlandese e britannico. In Finlandia il processo decisionale per la realizzazione di un nuovo impianto nucleare implica sei successivi stadi, che vanno dalla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) per la costruzione ed esercizio dell’impianto al rilascio di una licenza di esercizio da parte del Governo. Nel caso del nuovo impianto EPR (Olkiluoto 3), l’iter è iniziato nel 1998 con il lancio della VIA da parte delle utility interessate (a quel tempo erano ancora in ballo due possibili siti), ha attraversato il suo culmine con l’approvazione della nuova centrale da parte del Governo nel maggio del 2002 (la licenza alla costruzione è stata poi rilasciata nel 2005) e si concluderà nel 2010-2011 con la messa in funzione dell’impianto: complessivamente 13-14 anni. Il governo britannico, ad inizio 2008, ha annunciato la costruzione di 8 centrali nucleari di III Generazione. In quell’occasione, John Hutton, business secretary del governo britannico, ha affermato: “I hope the first new reactor would be in service well before 2020”; peraltro, il target di EDF di mettere in rete il primo impianto nel 2017 è giudicato dalla stesso governo “brave”. È dunque realistico attendersi che in un Paese con lunga e ininterrotta tradizione di ricorso all’energia nucleare e di gestione dei rifiuti radioattivi e con ben 19 impianti nucleari in esercizio la messa in rete del primo impianto di III generazione avvenga non prima di una decina di anni da oggi.

Secondo uno studio presentato dal Cesi e dall’Aiee ad ottobre del 2008, 4 reattori EPR da 1600MW potranno essere operativi non prima del 2026 e produrranno una riduzione delle emissioni di CO2 pari a 17 mln di tonnellate annue. Al 2020, se tutto va bene ci sarà una centrale operativa che ridurrà le emissioni per poco più di 4 mln di ton, che, a fronte di una produzione odierna di 552,8 mln/T annue in Italia di CO2, corrisponde allo 0,7%.  Tutto ciò al netto della produzione di CO2 di tutta la filiera, perché alcuni studi recenti hanno calcolato che se si considera tutto il ciclo di lavorazione, per ogni kwh di produzione con il nucleare si emette la stessa quantità di CO2 di un kwh prodotto con il ciclo combinato. Il nucleare servirà poi solo alla produzione di elettricità settore responsabile delle emissioni di CO2 per il 18-20% del totale, che non tocca gli altri grandi responsabili, i trasporti e la residenzialità.

Riprendendo lo studio “I Veri Costi dell’Energia Nucleare”, si dice che: “il calcolo effettuato è cautelativo, e si riferisce per lo più ad impianti di vecchia generazione. Oggi infatti gli impianti vengono realizzati in 4 anni, (addirittura la Westinghouse assicura un periodo di 36 mesi dal primo getto di calcestruzzo all’avvio commerciale dell’impianto)”

Chi è di parte, come Greenpeace, ha pubblicato un rapporto, elaborato da un gruppo di ricercatori indipendenti (http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/file/costi-economici-nucleare-sintesi.pdf)…
Aumento dei tempi di costruzione
Uno studio condotto dal Consiglio Mondiale dell’Energia (WEC) ha mostrato che in tutto il mondo i tempi di costruzione per i reattori nucleari sono aumentati dai 66 mesi a 116 mesi tra il 1995 e il 2000. L’aumento dei tempi di costruzione è sintomatico di una serie di problemi, tra i quali la gestione della costruzione di reattori sempre più complessi. Questi enormi ritardi, che sono un elemento fondamentale delle difficoltà dell’industria nucleare, dimostrano che il nucleare non può essere una risposta tempestiva per i cambiamenti climatici.
Attualmente vi sono solo 22 reattori in costruzione nel mondo. La maggior parte (17) sono in costruzione in Asia. Ben 16 dei 22 sono in costruzione in base a progettazione cinese, indiana o russa, sebbene probabilmente nessuno di questi
progetti verrà esportato in Paesi dell’OCSE. Per 5 dei 22 reattori la costruzione è cominciata oltre 20 anni fa, e ha suscitato seri dubbi riguardo la possibilità di essere ultimata secondo i tempi previsti. Ci sono poi 14 reattori dei quali la costruzione è stata cominciata ma è attualmente sospesa, 10 dei quali nel Centro e nell’Est dell’Europa.

Anche il professor Rubbia ha risposto con queste parole:
«Dobbiamo tener conto che il nucleare è un’attività che si può fare soltanto in termini di tempo molto lunghi. Noi sappiamo che per costruire una centrale nucleare sono necessari da cinque o sei anni, in Italia anche dieci. Il banchiere che mette 4 – 5 miliardi di Euro per crearla riesce, se tutto va bene, a ripagare il proprio investimento in circa 40 – 50 anni.”
Sul blog Ecoalfabeta (http://ecoalfabeta.blogosfere.it/2009/02/ho-visto-grandi-entusiasmi-su.html), si pubblica un’intervista a Massimo Scalia, ex deputato dei verdi, ex presidente della commissione parlamentare d´inchiesta sul ciclo dei rifiuti, membro del comitato scientifico di Legambiente.

Scalia, che ne pensa di questa tesi che arriva dall’università di Pisa?
«Andiamo con ordine e partiamo dalla questione del tempo necessario a costruire un impianto. Loro parlando di 5 anni, ma la tempistica media varia da 11 a 18. Prendiamo ad esempio l’ultima centrale in costruzione, quella a Olkiluoto in Finlandia. Ebbene, se ne è cominciato a parlare nel 97 e ne hanno cominciato la costruzione un anno e mezzo fa. Peraltro in questo primo anno e mezzo hanno già accumulato 10 mesi di ritardo. Tutto perché vengono continuamente posti problemi di sicurezza da parte delle amministrazioni locali».
Faccio notare anche alcune osservazioni dell’ ing. Paolo Fornaciari in data 04/02/2009 (ex Responsabile della attività nucleari dell’ ENEL fino al 1997) a quanto detto da Massimo Scalia sul quotidiano online Greenreport.
Paolo Fornaciari risponde a Massimo Scalia:
“Non occorrono da 11 a 18 anni per costruire una centrale nucleare. Scalia si informi: anche le nostre prime tre centrali nucleari furono costruite rispettivamente in 55 mesi (Latina), 62 (Garigliano) e 51 (Trino Vercellese), quando le competenze non erano certo maggiori di quelle di oggi. E il tempo di costruzione delle nuove centrali nucleari è previsto in 3 o 4 anni”

Un documento dell’Edison, in data novembre 2008, intitolato “Presupposti per il programma elettronucleare nazionale”, pubblica alcune slide che possono comunque chiarire gli step che dovranno essere operati in Italia.


Analizziamo intanto un caso citato dall’ENEA e da Scalia, la centrale di Olkiluoto in Finlandia.
Dal blog Follia Quotidiana, (http://folliaquotidiana.wordpress.com/2009/08/11/la-nuova-generazione-di-centrali-nucleari-epr/) si pubblica un resoconto decisamente interessante.

Il reattore EPR è una evoluzione del tipo PWR (Pressurized Water Reactor) progettato da Areva, una azienda multinazionale pubblica francese leader mondiale nelle tecnologie relative all’energia nucleare. La Francia è il paese dove l’energia nucleare costituisce, con una quota di 78,8%, la maggior parte dell’energia prodotta.
Il primo reattore EPR al mondo è in costruzione in Finlandia, nella centrale nucleare sull’isola di Olkiluoto, dove affiancherà i due reattori già esistenti.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Alcune promesse di Areva, come la maggiore sicurezza, i costi minori e la maggiore competitività del nuovo tipo di reattore si sono incrinate quando si è passati ai fatti. La costruzione di Olkiluoto 3 ha sofferto di alcuni problemi.
La costruzione è iniziata nel 2005, con l’avvio dei lavori il 12 settembre. Il completamento del reattore e di tutte le strutture necessarie era previsto nel 2009. Areva aveva promesso al cliente, Teollisuuden Voima Oyj (TVO), l’azienda pubblica finlandese che gestisce l’energia elettrica, quattro anni di costruzione a un costo di 2,5 miliardi di £ (3,2 miliardi di €).
Ma a gennaio 2006, dopo solo quattro mesi, è ufficialmente confermato un ritardo di sei mesi nella costruzione, e a luglio 2006 viene annunciato che il reattore entrerà in funzione nel 2010. Nel 2008 viene spostata la data di termine dei lavori all’estate del 2011, e verso la fine dell’anno si annuncia che la data possibile per l’avvio del reattore è attualmente fissata all’estate 2012.
Oltre ai ritardi, sono aumentati anche i costi: a luglio 2009 il costo stimato del reattore è di circa 1,7 miliardi di € superiore al previsto.
Tutto ciò ha portato AREVA e TVO in un arbitrato all’inizio del 2009: infatti TVO chiede al fornitore del reattore 2,4 miliardi di € di danni dovuti all’aumento del prezzo e alla mancata fornitura di elettricità. Areva chiede a sua volta a TVO 1 miliardo di €. La situazione è stata riassunta in questo modo da Steve Thomas, professore inglese di politiche energetiche che ha monitorato il progetto:
“Se all’inizio Greenpeace avesse affermato che dopo quattro anni di costruzione si sarebbe verificato un ritardo di altri tre anni e mezzo e uno sforamento del budget del 60%, chiunque avrebbero iniziato ad irriderli”. “Ma è quello che è successo. E’ difficile pensare ad un andamento peggiore di quello attuale.”
Anche Philippe Knoche, chief operating officer di Areva, ha ammesso che “non è un segreto che Areva stia perdendo soldi in questo progetto”.
Resta da capire che cosa ha causato tutti questi problemi.
I lavori sono stati rallentati, e i costi sono lievitati a causa delle obiezioni mosse dall’organismo finlandese sulla sicurezza nucleare STUK. Il 10 luglio 2006 l’autorità per la sicurezza ha inoltrato un rapporto, intitolato “Management Of Safety Requirements In Subcontracting During The OLKILUOTO 3 Nuclear Power Plant Construction Phase”, dove venivano sottolineate diverse “non conformità” nella costruzione della centrale. Nota: nel rapporto il fornitore dell’impianto nucleare è Framatome ANP, abbreviato in FANP. In seguito questa azienda è diventata Areva NP, una joint venture tra Areva (66%) e Siemens AG (34%).

Secondo STUK, i sopralluoghi nel sito di costruzione compiuti dal team di investigatori hanno mostrato che le aziende partecipanti nella costruzione (per grandi progetti ci si affida sempre a subappalti) “non ottemperano completamente alle aspettative di STUK riguardanti una buona cultura della sicurezza. I problemi rilevati hanno rallentato i progressi del progetto e hanno incrementato la pressione sul calendario delle successive fasi di costruzione.”
In particolare si sono verificati problemi con la qualità del cemento e con la qualità delle saldature.
Per quanto riguarda la qualità del cemento, fornito dall’azienda Forssan Betoni, nel rapporto di STUK (pagg. 22-23) è stato rilevato che:

•l’offerta di appalto non affermava specificatamente che erano richiesti standard speciali nella gestione della qualità nella costruzione di una centrale nucleare. I requisiti avrebbero dovuto essere affermati così chiaramente da permettere ai fornitori di valutare il lavoro extra, necessario per soddisfarli, ed operare in seguito senza pressioni impreviste nei costi a causa del controllo di qualità
•il criterio principale applicato nella selezione delle offerte è stato il prezzo della produzione
•il sistema di qualità di Forssan Betoni non rispettava lo standard ISO 9001 nella fase di selezione
•Forssan Betoni non aveva esperienza nelle costruzioni di centrali nucleari precedenti al progetto OL3 e tutti i requisiti di qualità che si applicano alla costruzione di tali centrali non erano menzionati nella fase di offerta.
•in base alle informazioni ricevute e ai risultati ottenuti nelle indagini, il personale addetto al controllo qualità di FANP  non ha identificato seri problemi di qualità durante i lavori. La composizione del cemento è stata cambiata quando è stata effettuata la colata del cemento, in violazione delle regole. La modifica, secondo FANP, non era rilevante, ma eccedeva i limiti specificati per la pesatura. Turante le operazioni non era chiaro alle parti coinvolte, ovvero Forssan Betoni e FANP, chi era responsabile per la composizione del cemento.
Il problema con le saldature è invece relativo ad un componente chiamato “steel liner”, progettato da Babcock Noell Nuclear GmbH e fornito dal subcontractor Polish Engineering Works. A giugno 2007 erano stati saldati insieme vari segmenti di questo componente, ma le ispezioni successive hanno mostrato problemi nella qualità delle saldature e la presenza di deformazioni. La progettazione, l’implementazione e l’ispezione delle saldature è stata, secondo STUK, insufficiente. Per questo motivo STUK ha ordinato il 6 agosto 2007 l’arresto delle attività di saldatura e l’avvio di procedure di riparazione da parte di TVO e del fornitore. Inoltre è stata richiesta la revisione delle procedure di qualità. Gli investigatori di STUK hanno notato che le saldature erano effettuate con un “root gap” eccessivo. Esso rappresenta la distanza tra due piastre, uno spazio che viene riempito con il materiale della saldatura. I lavori sono ripartiti il 10 settembre 2007.

Lo “Steel Liner” fa parte della struttura di contenimento interno, che deve contrastare la pressione e le temperature generate da un eventuale incidente, impedendo il rilascio nell’ambiente di materiale radioattivo. Il contenimento protegge inoltre il circuito di raffreddamento del reattore e dei sistemi di sicurezza contro eventi esterni. Il sistema di contenimento è un cilindro a doppio strato, alto circa 60 metri e con un diametro di 45 metri, le cui pareti sono in cemento. Lo steel liner è un rivestimento interno in acciaio formato da una serie di piastre in acciaio spesse 6 mm (pag.28).

Nuovamente, STUK ha rilevato che:

•La catena di controllo / fornitura / produzione (STUK, TVO, FANP, BNN, EPG) è stata problematica, causando problemi nella comunicazioni, nella gestione di rapporti di non conformità e nell’implementazione delle azioni correttive.
•EPG aveva esperienza nella costruzione di strutture in acciaio in larga scala per applicazioni convenzionali, ma nessuna esperienza nell’ambito delle centrali nucleari. Nella pratica non è stata effettuata alcun addestramento del personale, anche se il manuale della qualità di EPG lo prevedeva. Inoltre non è stata effettuato alcun addestramento nella promozione della cultura della sicurezza.
•L’impiego ripetuto di distanziature (“root gap”) eccessive è una chiara non conformità con la procedura ufficialmente approvata ed ha una portata assolutamente inaccettabile. Una situazione simile non dovrebbe essere possibile in un sistema di qualità funzionante. Il controllo qualità basato sulle specifiche di saldatura deve essere continuativo, ed ogni lavoratore deve essere responsabile della qualità del proprio lavoro (pag. 33).
Nelle conclusioni finali, sono state rilevate queste problematiche:

1.Il numero delle aziende in subappalto è elevato e FANP non è, nella pratica, in grado di esercitare un vero controllo sulla competenza e sulla qualità del lavoro di tutte queste aziende
2.Nella fase contrattuale sono stati enfatizzati gli obiettivi economici e i requisiti di qualità sono stati generalmente sollevati dopo l’inizio dei lavori
3.FANP faceva affidamento a TVO e STUK per la rilevazione dei problemi
4.FANP non aveva familiarizzato con le caratteristiche della costruzione
5.L’organizzazione del consorzio è confusa e non sono chiare le autorità responsabili per la gestione dei problemi
6.Poiché FANP ha ricevuto pressioni nella tempistica, non sono sempre state valutate criticamente le capacità delle aziende in subappalto di raggiungere i requisiti di qualità
Questo esempio dovrebbe chiarificare il concetto di “sicurezza nucleare”. La sicurezza non è solo quella sulla carta, dove gli scienziati possono assicurare percentuali di incidenti bassissime. La sicurezza è anche quella pratica: il rispetto delle procedure nella costruzione, e successivamente nella gestione e nella manutenzione della struttura. Nel caso della centrale finlandese, si può notare come i problemi siano stati causati dalle aziende in subappalto, selezionate a volte per i loro prezzi competitivi e non per il know-how posseduto. Fortunatamente un rigido controllo da parte dell’autorità per la sicurezza ha rilevato i problemi imponendo delle riparazioni.

Siamo sicuri che in Italia non possa succedere qualcosa del genere, o peggio? La stessa Italia dove un ospedale costato 38 milioni di €, la cui costruzione è durata 20 anni, a circa 6 anni dall’inaugurazione viene evacuato per un pericolo di crollo dovuto a cemento con troppa sabbia. Un ospedale dove mancano la certificazione sulla conformità degli impianti elettrici, sulla prevenzione incendi e l’autorizzazione definitiva allo scarico in rete fognaria.

Dal sito del WWF (http://www.wwf.it/UserFiles/File/News%20Dossier%20Appti/DOSSIER/comunicati%20stampa/2009_2_24_nucleare.pdf) viene pubblicata una nota:

WWF: “L’ILLUSIONE NUCLEARE AUMENTA LA DIPENDENZA ENERGETICA ITALIANA E RALLENTA L’AZIONE ANTI-CO2
Essendo il primo reattore costruito nel mercato liberalizzato europeo dell’energia, nel 2005
quando la costruzione iniziò fu descritto come una prova che l’industria nucleare può competere in
questo nuovo mercato in seguito ai miglioramenti tecnologici avvenuti. Per ridurre i rischi per
l’acquirente – l’utility finlandese TVO – la società franco-tedesca Areva ha siglato un accordo chiavi
in mano a prezzo fisso per la nuova centrale (turnkey agreement), a prescindere dall’ammontare
finale delle spese effettive per il costruttore. Inoltre, l’accordo prevede una multa di 0,2% del costo
per ogni settimana di ritardo rispetto alla consegna alla prima criticità prevista entro 48 mesi dalla
posa della prima pietra.
Le condizioni favorevoli previste dall’accordo avevano l’obiettivo di dimostrare la competitività
dell’”affare” rispetto alle altre opzioni sul mercato.
Già nel primo anno si sono verificati una serie di problemi tecnici e ritardi nella costruzione, resi poi
pubblici dall’ente regolatore dell’energia della Finlandia. Dopo 16 mesi di lavori il progetto aveva
accumulato un ritardo di ben 18 mesi, con un aumento dei costi stimato in circa 700 milioni di Euro.
Va aggiunto che già nel 2006 in seguito agli anticipi effettuati Areva ha registrato una perdita di 300
milioni di Euro. Va notato che la Bayerische Landesbank che ha guidato un syndicated loan di 1,95
miliardi di Euro per il progetto – che copre il 60 per cento dei costi – ha applicato tassi estremamente
vantaggiosi del 2,6 %. Inoltre le agenzie di credito all’esportazione Coface e SEK hanno garantito
operazioni di Areva per 720 milioni di Euro.
Ciononostante il progetto potrebbe causare una forte perdita per Areva ed in prospettiva anche per
l’utility finlandese.
La DG Competition della Commissione Europea ha anche indagato sulle particolari condizioni
concesse da queste agenzie ad Areva e sulla possibile violazione dei principi di concorrenza nel
mercato europeo. E’ chiaro quindi che il progetto Olkiluoto emerge come un sonoro fallimento che
mostra la palese incapacità dell’industria nucleare di competere in mercato liberalizzato dell’energia
quale è quello europeo oggi, anche se si tratta di progetti in via di realizzazione in condizioni
ottimali e in paesi molto avanzati sia dal punto di vista economico che in materia di
regolamentazioni e sicurezza.

Ma c’è anche chi prova a darne una versione diversa: dal sito Newclear (http://www.newclear.it/?p=904):
I ritardi e la lievitazione dei costi  nella costruzione di Olkiluoto 3 sono diventati per alcuni, un ottimo pretesto per strombazzare che il tempo del “rinascimento” nucleare è tramontato prima ancora di arrivare. Non si tratta solo di organi d’informazione di parte, anche il compassato Financial Times ha calcato la mano sull’odissea finanziaria del progetto finlandese, sottolineando con intenzionalità,  le dichiarazioni del presidente di Areva Anne Lauvergeon, che ammetteva di non essere in grado di definire con certezza il costo finale dell’opera. Per la cronaca,  questa settimana sul cantiere si è festeggiato  un importante traguardo nell’avanzamento dei lavori. la posa della cupola di acciaio di 200 tonnellate e 47 metri di diametro sul duomo del reattore OL3.
Quando un progetto è così complesso e oneroso come quello una centrale nucleare, tanto più quando il progetto di durata pluriennale, viene dapprima trascinato da spinte inflazionistiche sui prezzi delle materie prime  e poi  travolto dalla recessione, è improbabile che non sorgano controversie tra le parti e battute di arresto .
Non si tratta di trovare delle attenuanti come del resto ribadisce anche Rod Adams, ma il cantiere finlandese va considerato come una palestra di allenamento per un’industria che subisce un’attenzione altamente vigilante (se non decisamente diffidente) da parte dell’opinione pubblica . I contrattempi e i disaccordi tra costruttore e il consorzio Tvo sono frustranti ma non sorprendenti. All’infuori di alcuni paesi asiatici dove  si è raggiunta un certa maturità nella costruzione di nuove centrali, nel resto del mondo sono trascorsi diversi  anni dalla costruzione degli ultimi impianti. Dagli anni ’70-80 è subentrata una nuova generazione di lavoratori che impiegano tecniche che si sono notevolmente raffinate  e lasciano spazio  a un continuo processo di perfezionamento. 

Infine, pubblichiamo la traduzione della lettera che l’autorità di sicurezza nucleare STUK ha consegnato lo scorso dicembre al costruttore francese AREVA, lettera nella quale si dice di non registrare “nessun reale avanzamento nella progettazione dei sistemi di controllo e protezione” che potrebbe portare a un arresto della costruzione del reattore.
Potete trovarla anche ai seguenti link:
http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/file/lettera-olkiluoto
http://weblog.greenpeace.org/nuclear-reaction/2009/05/problems_with_olkiluoto_reacto.html

Lettera da Jukka Laaksonen, Direttore Generale STUK all’Amministratore Delegato di AREVA Anne Lauvergeon.

Helsinki, 9 dicembre 2008

Gentile Signora Lauvergeon,
Con la presente esprimo la mia grande preoccupazione per l’assenza di progressi nella
progettazione dei sistemi di automazione della centrale nucleare di Olkiluoto 3 […]. Non vedo
nessun reale avanzamento nella progettazione dei sistemi di controllo e protezione. In assenza
di un progetto adeguato, che soddisfi i principi basilari della sicurezza nucleare, e che derivi in
modo razionale e trasparente dai concetti presentati come allegato alla richiesta di licenza di
costruzione, non vedo alcuna possibilità di approvare per l’istallazione tali importanti sistemi.
Ciò vorrebbe dire che la costruzione si arresterebbe e che non sarebbe possibile iniziare a
commissionare i test.
Ho già espresso le mie preoccupazioni su questo punto già nella primavera 2008, in una
riunione con il Sig. Xavier Jacob e con il managment di TVO (ndr: azienda elettrica finlandese).
Dopo quella riunione, Areva ha organizzato un workshop a livello professionale a Erlangen, il
23-25 aprile 2008.
Da allora, ci sono stati vari incontri tra i nostri esperti ma non abbiamo visto nessuno dei
progressi che ci attendevamo dal lavoro spettante ad Areva. I sistemi della massima
importanza per la sicurezza devono essere progettati da Areva NP SAS, ma sfortunatamente
l’attitudine o mancanza di conoscenze professionali di qualcuno, che alle riunioni di esperti
parla a nome di tale organizzazione [Areva NP SAS], impedisce di fare progressi nel risolvere
tali preoccupazioni. Ne deriva che ovvi errori di progettazione non sono stati corretti e che non
abbiamo ricevuto la documentazione progettuale con informazioni adeguate e requisiti
progettuali verificabili […].
Spero sinceramente che possiate iniziare qualche azione in quest’area, per garantire che la
costruzione di Olkiluoto 3 arrivi ad una conclusione felice.

Distinti saluti,
Jukka Laaksonen

Written by sistemielettorali

8 dicembre 2009 at 21:19

Nucleare, l’accordo.

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In merito all’accordo tra Italia e Francia, mi è piaciuto un articolo di Ugo Bardi tratto da aspoitalia.blogspot.com che riporto qui di seguito sebbene con alcuni tagli.

Si diceva che Francia e Italia hanno “firmato un’accordo per la costruzione di quattro centrali nucleari in Italia entro il 2020”. Ma è vero?
Bene, guardiamo un po’ il testo del comunicato stampa emesso da ENEL. Ve lo riporto per intero in fondo, ma qui concentriamoci sulle frasi significative.
Risulta dal comunicato che ENEL e EDF (electricité de France) hanno “siglato due memorandum of understanding (MoU)”. Cos’è questo oggetto che ha come nome un curioso mix di latino e inglese, e che viene abbreviato con la sigla di una caramella? In Italiano, si dovrebbe dire “protocollo d’intesa” oppure “lettera di intenti”. Già il fatto che nel comunicato stampa abbiano usato il nome più pomposo di “memorandum of understanding” la dice lunga sulla volontà di offuscazione di questa gente. Ma andiamo avanti.
Allora, un memorandum of understanding (o protocollo di intesa, o lettera d’intenti che dir si voglia) rappresenta l’equivalente un po’ più formale di una stretta di mano. Non che non possa avere valore legale; anche una stretta di mano lo può avere. Ma il fatto di usare questo termine e non quello di “contratto” indica che i partners dichiarano soltanto la loro buona volontà ma non prendono nessun impegno. Dal testo che abbiamo ci accorgiamo subito che, in effetti, non corrispondono a nessun impegno reale.
Ci sono due MoU fra Enel e EDF. Il primo “pone le premesse per un programma di sviluppo congiunto dell’energia nucleare in Italia da parte delle due aziende. ” Notate che “pone le premesse”, ovvero per ora non c’è nessun piano del genere.
Dice poi che “Enel ed EDF si impegnano a costituire una joint-venture paritetica (50/50) che sarà responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione delle unità di generazione nucleare EPR”. Ovvero, l’unico impegno di questo MoU e che EDF e ENEL faranno insieme uno studio di fattibilità. Ma notate che qualcuno dovrà finanziarlo, e qui non si accenna nemmeno a uno stanziamento.
Leggiamo poi che “Successivamente, completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di generazione nucleare EPR”, Notate che “è prevista” la costituzione di una società ad hoc, ma questo è qualcosa che avverrà in un futuro non ben definito quando saranno prese “le necessarie decisioni di investimento”, ovvero qualcuno avrà trovato i soldi, se ci riuscirà. Ovviamente, non c’è nessun impegno legale a fare questa cosa.
La seconda caramella MoU è altrettanto insipida della prima: dice che “Enel ha espresso la volontà di partecipare all’estensione del precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto con EdF per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori EPR”. Notate che Enel “ha espresso la volontà,” tutto qui! E notate anche che soltanto ENEL ha espresso questa volontà; secondo il comunicato stampa, EDF non ha detto niente. Di solito, quando si fa un contratto, bisognerebbe essere d’accordo in due!
Ma qui, fra Francia e Italia non c’è proprio niente del genere, niente di serio sul nucleare.
Questo non vuol dire che Francia e Italia non siano interessate a collaborare sull’energia nucleare. Anzi, con il proprio nucleare ormai in netto declino, la Francia ha bisogno di partners per rilanciare e rifinanziare nuove centrali e probabilmente questa è la ragione che ha spinto Sarkozy a Roma. Ma questo cosiddetto “accordo” fra Italia e Francia è puro fumo e rumore; aria fritta, propaganda fatta secondo un copione ormai collaudato e, curiosamente, la gente continua a cascarci.
Eppure, per tutta la giornata del 24 Febbraio, giornali e televisione ci hanno bombardato con la notizia che Italia e Francia si sono messe daccordo per la realizzazione di quattro centrali nucleari, dando la cosa come certa e assodata. Tutta la vicenda conferma in pieno la saggia regola che continuerò ad applicare: tutto quello che ti raccontano in TV o sui giornali va ignorato in quanto o è falso, o è esagerato, o è irrilevante, o tutte e tre le cose insieme.
________________________________________________

(comunicato stampa di Enel del 24 Febbraio 2009 – cortesia di Pierangela Magioncalda)

ACCORDO ENEL-EDF PER LO SVILUPPO DEL NUCLEARE IN ITALIA

Nel quadro del Protocollo di Intesa italo-francese per la cooperazione energetica, l’Ad di Enel Fulvio Conti e il Pdg di Edf Pierre Gadonneix hanno siglato due Memorandum of Understanding per studiare la fattibilità di almeno 4 unità di terza generazione avanzata del tipo EPR da costruire nel nostro Paese e per estendere la partecipazione di Enel al programma nucleare in Francia, a partire dal reattore di Penly recentemente autorizzato.

“Enel è onorata di avere al suo fianco nel progetto di rilancio del nucleare in Italia un partner industriale come Edf che ha in questo campo un’esperienza e una reputazione riconosciute a livello internazionale – ha commentato Conti –. Gli accordi siglati oggi contribuiscono a rafforzare i legami tra i sistemi industriali di Italia e Francia in un settore strategico come quello dell’energia e a sviluppare ulteriormente la reciprocità nei rispettivi mercati.”

Roma, 24 febbraio 2009 – Nel quadro del Protocollo di Intesa italo-francese per la cooperazione energetica, Fulvio Conti amministratore delegato e direttore generale di Enel e Pierre Gadonneix, presidente e direttore generale di Edf hanno firmato un primo Memorandum of Understanding (MoU) che pone le premesse per un programma di sviluppo congiunto dell’energia nucleare in Italia da parte delle due aziende. Quando sarà completato l’iter legislativo e tecnico in corso per il ritorno del nucleare in Italia, Enel ed EDF si impegnano a sviluppare, costruire e far entrare in esercizio almeno 4 unità di generazione, avendo come riferimento la tecnologia EPR (European Pressurized water Reactor), il cui primo impianto è in costruzione a Flamanville in Normandia e che vede la partecipazione di Enel con una quota del 12,5%.

L’obiettivo è di rendere la prima unità italiana operativa sul piano commerciale non oltre il 2020.

Con il MoU di oggi, Enel ed EDF si impegnano a costituire una joint-venture paritetica (50/50) che sarà responsabile dello sviluppo degli studi di fattibilità per la realizzazione delle unità di generazione nucleare EPR. Successivamente, completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di generazione nucleare EPR, caratterizzate da:

· partecipazione di maggioranza per Enel nella proprietà degli impianti e nel ritiro di energia;

· leadership di Enel nell’esercizio degli impianti;

· apertura della proprietà anche a terzi, con il mantenimento per Enel e EDF della maggioranza dei veicoli societari.

L’accordo Enel-EDF entra in vigore il 24 febbraio 2009 e ha una durata di 5 anni dalla data della sua firma, con possibilità di estensione.

In un secondo MoU, Enel ha espresso la volontà di partecipare all’estensione del precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto con EdF per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori EPR, a partire da quello che recentemente il Governo francese ha autorizzato nella località di Penly.

“Enel è onorata di avere al suo fianco nel progetto di rilancio del nucleare in Italia un partner industriale come Edf che ha in questo campo un’esperienza e una reputazione riconosciute a livello internazionale – ha commentato Conti –. Gli accordi siglati oggi contribuiscono a rafforzare i legami tra i sistemi industriali di Italia e Francia in un settore strategico come quello dell’energia e a sviluppare ulteriormente la reciprocità nei rispettivi mercati.”

Enel è oggi presente in Francia nel nucleare, con una partecipazione del 12,5% nell’impianto di terza generazione EPR a Flamanville (1.660 MW); nelle rinnovabili, tramite la controllata Erelis, con 8 MW eolici operativi a fine 2008 e una pipeline di circa 500 MW; nella commercializzazione di elettricità con oltre 1.000 GWh venduti nel 2008.

Ulteriori possibilità di sviluppo di Enel in Francia, riguardano la costruzione di un impianto a carbone pulito da 800 MW, la partecipazione in due unità a ciclo combinato alimentate a gas (CCGT) di Edf da 930 MW e la partecipazione al processo di gara per il rinnovo di concessioni per 25 centrali idroelettriche.

 
Tutti d’accordo nel Governo?
Sembra proprio di no, visti i dubbi (giustificati) di Tremonti, in merito ad una spesa che graverebbe sin troppo sulle tasche dei contribuenti.
Il 10 giugno 2009 appare questa nota:
Botta e risposta fra i ministri Giulio Tremonti [economia] e Claudio Scajola [sviluppo economico] sul nucleare. Deve essere bloccato perché non ha la copertura economica e perché porterebbe incrementi delle tariffe a carico dei consumatori, ha fatto sapere ieri Tremonti. Ordinario confronto tra uffici legislativi, dove ogni ministero fa le proprie osservazioni alle leggi, risponde oggi Scajola, che promette: «Le norme sul nucleare sono molto importanti per il paese, per il rilancio dell’economia reale» e saranno approvate entro la fine del mese.

In agosto, intanto, nasce  “Sviluppo Nucleare Italia Srl”, società che ha il compito di realizzare gli studi di fattibilità per la costruzione nel nostro Paese di almeno 4 centrali nucleari con la tecnologia di terza generazione avanzata EPR, come previsto dal Memorandum of Understanding firmato da Enel ed EDF il 24 febbraio scorso durante il summit Francia-Italia di Roma. Completate le attività di studio e prese le necessarie decisioni di investimento, è prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna centrale EPR. La gestione di “Sviluppo Nucleare Italia Srl” sarà affidata a un cda di otto membri: quattro designati da Edf, tra i quali il presidente e il vice presidente, e quattro da Enel, tra i quali rientrerà l’amministratore delegato.

Ma non ci sono solo i francesi….

Nucleare, dopo la Francia intesa anche con gli Usa (30 settembre 2009)
L’Italia cementa l’intesa con gli Stati Uniti sul fronte del nucleare e apre la porta ad una cordata di imprese italo-americane per la costruzione e lo sviluppo delle nuove centrali che verranno costruite nel nostro Paese.
Sono il ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ed il segretario statunitense all’Energia, Steven Chu, ad apporre le proprie firme sull’Accordo di Cooperazione in Materia di Nucleare, il cui obiettivo «è istituire un quadro per la collaborazione fra le parti sulla ricerca e lo sviluppo per migliorare i costi, la sicurezza, il ciclo dei rifiuti e la resistenza alla proliferazione dei sistemi per l’energia nucleare per usi civili». Restano quindi fuori dall’intesa, di cinque anni rinnovabile tacitamente per altri cinque, tutte le tecnologie sensibili, fra le quali l’arricchimento dell’uranio.

L’accordo, che ricalca per schema e contenuti quello già firmato a febbraio con la Francia in concomitanza dell’intesa fra Enel ed Edf, prevede anche lo scambio di scienziati, informazioni, materiali e attrezzature. Ma il pezzo forte risiede nella dichiarazione congiunta dei due ministri, con cui si impegnano a «incoraggiare la ricerca di opportunità contrattuali per la realizzazione di centrali nucleari» ed a «promuovere l’assegnazione di appalti nei rispettivi Paesi».

È il segretario Chu a fornire nomi e cognomi dei gruppi che potrebbero beneficiarne sull’altra sponda dell’Atlantico: «General Electric e Westinghouse avranno l’opportunità di partecipare a gare di appalto in Italia», fornendo le proprie competenze in materia di reattori. Westinghouse è la «madre» dell’Ap 1000, di taglia inferiore agli Epr dell’accoppiata Enel-Edf, ma ben conosciuto da Ansaldo Nucleare, società di Finmeccanica e quindi possibile partner naturale in una cordata italo-statunitense. Ansaldo e Westinghouse, tra l’altro, operano da tempo insieme e l’accordo più recente riguarda la costruzione di una centrale nucleare in Cina.

Da segnalare, in merito agli accordi sottoscritti, che i progetti di impianti della terza generazione avanzata giunti allo stadio industriale sono attualmente due: l’EPR (Areva-Siemens) e l’AP1000 (Toshiba-Westinghouse). E sono quelli che dovrebbero vedere la luce in Italia. In breve:
– l’impianto EPR, caratterizzato da una potenza di 1.650 MWe, è stato sviluppato nel quadro di un’iniziativa di cooperazione franco-tedesca. Ha ricevuto la certificazione finale di sicurezza in Francia e in Germania ed è attualmente in fase di certificazione negli USA e nel Regno Unito. Due reattori EPR sono attualmente in costruzione in Europa a Olkiluoto (Finlandia) e Flamanville (Francia). Altri due reattori di questo tipo sono in costruzione in Cina e altri cinque saranno realizzati in Francia entro il 2020.
– l’impianto AP1000, caratterizzato da una potenza di 1.000-1.250 MWe, è basato su una drastica semplificazione impiantistica e su un esteso ricorso a sistemi di sicurezza di tipo passivo. 
Ha ricevuto la certificazione finale di sicurezza negli USA ed è in corso di certificazione nel Regno Unito. 
Due impianti AP1000 sono attualmente in costruzione in Cina e altri quattordici reattori sono in opzione da parte di alcune utilities statunitensi.

Impianto EPR

 


Impianto AP1000
 

 
 

 

Written by sistemielettorali

5 dicembre 2009 at 23:20

Come funziona una centrale nucleare

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Tutti, dagli autori di fumetti ai fisici teorici hanno descritto la scissione dell’atomo come l’atto finale dell’uomo che decide di giocare ad essere Dio, ed è quindi facile dimenticare che in realtà la fissione nucleare avviene in maniera naturale ogni giorno. L’uranio, per esempio, subisce costantemente la fissione spontanea molto lentamente. È per questo che l’elemento emette radiazioni, e perché è una scelta naturale per la fissione indotta che le centrali nucleari richiedono..
L’uranio è un elemento comune sulla Terra. E’ composto da una miscela di tre isotopi, 234U, 235U, e 238U.

E’ presente da quando è stato creato il pianeta. L’uranio-238 (U-238) ha una emivita estremamente lunga (emivita: tempo impiegato da una sostanza radioattiva per perdere metà della sua radioattività, cioè di “decadere”, la disintegrazione spontanea o indotta artificalmente del nucleo) di 4,5 miliardi di anni. Pertanto, è ancora presente in quantità abbastanza grandi. L’U-238 rappresenta il 99,27 per cento dell’uranio sulla Terra, mentre l’uranio-235 (U-235) costituisce circa il 0,72 per cento dell’uranio residuo che si trova in natura. L’uranio-234 è ancora più raro, formato dal decadimento dell’U-238. L’U-238 passa attraverso molte fasi di decadimento nel suo ciclo di vita, alla fine formando un isotopo stabile del piombo, così l’U-234 è solo un anello di quella catena (vedi tabella).

nuclide nome storico (abbrev.) nome storico (completo) tipo di decadimento emivita energia rilasciata, MeV prodotto di decadimento
238U U Uranium α 4.468·109 a 4.270 234Th
234Th UX1 Uranium X1 β 24.10 d 0.273 234Pa
234Pa UZ Uranium Z β 6.70 h 2.197 234U
234U UII Uranium two α 245500 a 4.859 230Th
230Th Io Ionium α 75380 a 4.770 226Ra
226Ra Ra Radium α 1602 a 4.871 222Rn
222Rn Rn Radon α 3.8235 d 5.590 218Po
218Po RaA Radium A α 99.98 %
β 0.02 %
3.10 |min 6.115
0.265
214Pb
218At
218At     α 99.90 %
β 0.10 %
1.5 s 6.874
2.883
214Bi
218Rn
218Rn     α 35 ms 7.263 214Po
214Pb RaB Radium B β 26.8 min 1.024 214Bi
214Bi RaC Radium C β 99.98 %
α 0.02 %
19.9 min 3.272
5.617
214Po
210Tl
214Po RaC’ Radium C’ α 0.1643 ms 7.883 210Pb
210Tl RaC” Radium C” β 1.30 min 5.484 210Pb
210Pb RaD Radium D β 22.3 a 0.064 210Bi
210Bi RaE Radium E β 99.99987%
α 0.00013%
5.013 d 1.426
5.982
210Po
206Tl
210Po RaF Radium F α 138.376 d 5.407 206Pb
206Tl     β 4.199 min 1.533 206Pb
206Pb     stabile

 
L’uranio-235 ha una caratteristica interessante che lo rende comodo per la produzione sia di energia nucleare sia per le bombe nucleari. L’U-235 decade naturalmente, proprio come l’U-238, da radiazioni alfa: si libera di una particella alfa, o due neutroni e due protoni legati insieme. L’U-235 subisce anche una fissione spontanea per una piccola percentuale di tempo. Tuttavia, l’U-235 è uno dei pochi materiali che possono subire la fissione indotta. Se un neutrone libero si imbatte in un nucleo di U-235, il nucleo assorbirà il neutrone, diventa instabile e si divide immediatamente.

L’immagine di cui sopra mostra un nucleo di uranio-235, che viene “bombardato” da un neutrone che si avvicina dall’alto. La probabilità che un atomo U-235 catturi un neutrone di passaggio è elevato. In effetti, in base alle condizioni del reattore, un neutrone espulso da ogni fissione provoca il verificarsi di un’altra fissione.

Non appena il nucleo cattura il neutrone, si scinde in due atomi più leggeri e si libera di due o tre nuovi neutroni (il numero di neutroni espulsi dipende da come l’U-235 si divide). Il processo di cattura dei neutroni e la scissione avviene molto rapidamente, nell’ordine di picosecondi (1×10 elevato a -12 secondi).

La scissione di un atomo sprigiona una incredibile quantità di calore e radiazioni gamma, o radiazioni fatte di fotoni ad alta energia. I due atomi che derivano dalla fissione successiva rilasciano radiazioni beta (elettroni super veloci) e radiazioni gamma. L’energia liberata da un’unica fissione deriva dal fatto che i prodotti di fissione e i neutroni, insieme, hanno un peso inferiore rispetto all’originale atomo U-235. La differenza di peso viene convertita direttamente in energia ad un tasso disciplinato dall’equazione E = mc2.
Il decadimento di un singolo atomo U-235 rilascia approssimativamente 211 MeV (milioni di elettronvolt). Che potrebbe non sembrare molto, ma ci sono un sacco di atomi di uranio in una libbra (0,45 kg) di uranio. Così tanti, infatti, che un chilo di uranio altamente arricchito, come quelli utilizzati per dare energia ad un sottomarino nucleare, è pari a circa un milione di litri di benzina.
Tuttavia, per tutto questo lavoro, un campione di uranio deve essere arricchito.

L’uranio altamente arricchito ha una concentrazione dell’isotopo 235U o di 233U pari o superiore al 20%.
L’uranio fissile presente nelle armi nucleari abitualmente contiene circa il 85% o più di 235U, ed è noto come uranio a gradazione per le armi (weapon-grade), anche se basta circa un 20% di arricchimento per costruire un’arma nucleare cruda, molto inefficiente (noto come weapon-usable). Tuttavia, anche un arricchimento molto minore può sostenere una reazione a catena ma -ovviamente- la massa critica richiesta aumenta rapidamente. Comunque, l’utilizzo sapiente dell’implosione e dei riflettori di neutroni, può permettere la costruzione di un’ arma con un quantitativo di uranio minore rispetto alla abituale massa critica per il suo livello di arricchimento, anche se questo potrebbe avvenire più probabilmente in un paese che già possiede un’estensiva esperienza nello sviluppo di armi nucleari. La presenza di un eccesso dell’isotopo 238U rende meno veloce il decorso della reazione nucleare a catena che è determinante nel fornire potenza esplosiva all’arma. La massa critica per un “core” di uranio altamente arricchito (al 85%) è di circa 50 chilogrammi.

L’uranio altamente arricchito (HEU) può essere usato anche in un reattore a neutroni veloci così come pure nei reattori dei sommergibili nucleari, dove viene arricchito a livelli oscillandi dal 50% di 235U, a oltre il 90% a seconda del reattore. Il primo reattore veloce sperimentale (Fermi-1) utilizzava HEU arricchito, contenente il 26,5% di 235U.

Il miscuglio di uranio 235 e 238 viene introdotto in una centrifuga contenuta in un ambiente sotto vuoto e riscaldato per conservare l’esafluoruro di uranio sotto forma gassosa. Nella fase successiva di ‘centrifuga‘ il materiale viene posto a una maggiore forza di gravità che consente la ‘separazione’ dell’uranio 238, più pesante, dall’uranio 235. Il miscuglio arricchito di uranio 235 resta al centro della centifruga, viene recuperato e sottoposto ad altre centifrughe. Il materiale ai bordi delle centrifughe viene invece eliminato. Al termine del processo l’uranio gassoso è riportato allo stato metallico e trasformato in pastiglie. L’uranio 235 al 3-7% è destinato all’utilizzo come combustibile delle centrali nucleari a fissione, l’uranio 235 al 80% è invece utilizzato per fini militari e bellici, in particolar modo per la costruzione delle bombe atomiche.

Sottocriticità, criticità e Supercriticità

Quando un atomo U-235 si scinde, due o tre neutroni volano via. Se non vi sono altri atomi U-235 attorno, allora questi neutroni liberi volano nello spazio come raggi di neutroni. Tuttavia, se l’atomo U-235 è parte di una massa di uranio, allora ci sono un sacco di altri atomi U-235 nelle vicinanze che possono entrare in collissione con i neutroni liberi.
Saranno uno o più dei neutroni liberi che ha colpito un altro atomo U-235? La risposta a questa domanda determina lo stato di un reattore nucleare.

Massa critica: se, in media, esattamente uno dei neutroni liberi da ogni fissione colpisce un altro nucleo di U-235 e ne provoca la scissione, allora la massa di uranio viene detta critica. La massa si troverà ad una temperatura stabile.
Massa subcritica: se, in media, meno di uno dei neutroni liberi colpisce un altro atomo U-235, allora la massa è sottocritica. Alla fine, la fissione indotta si concluderà in queste condizioni e la sua fonte di energia con essa.
Massa supercritica: se, in media, più di uno dei neutroni liberi colpisce un altro atomo U-235, allora la massa è supercritica. Questo farà sì che il reattore si scaldi.

Nella progettazione di una bomba nucleare, gli ingegneri hanno bisogno di una massa di uranio molto supercritica in modo che tutti gli atomi U-235 nella massa si scindano in un solo microsecondo. Pensate a come tutti i semi in un sacchetto di popcorn scoppino contemporaneamente.

In un reattore nucleare, comunque, l’ultima cosa che si vuole è la scissione degli atomi in contemporanea. Ma il nocciolo del reattore deve essere sempre leggermente supercritico in modo che i gestori degli impianti possano alzare e abbassare la temperatura del reattore. Le barre di controllo forniscono agli operatori il mezzo per assorbire i neutroni liberi consentendo così di mantenere il reattore ad un livello critico. Ne parleremo più avanti.

Come gli ingegneri controllano la criticità dell’uranio? La quantità di U-235 nella massa (il livello di arricchimento) svolge un ruolo importante, così come la forma della massa stessa. Se la forma della massa è un foglio molto sottile, la maggior parte dei neutroni liberi volerà nello spazio piuttosto che colpire altri atomi di U-235. In quanto tale, una sfera è la forma ottimale, e ci sarebbe bisogno di circa un chilo (0,9 kg) di uranio-235 in essa per ottenere una reazione critica. Tale ammontare è quindi denominato la massa critica. Per il P-239, la massa critica è di circa 283 grammi.

Come fanno i tecnici di controllo a mantere questi livelli in una centrale nucleare?

Innazitutto, ricordiamo la definizione di centrale nucleare: per centrale nucleare si intende generalmente una centrale nucleare a fissione, ovvero una centrale termoelettrica che utilizza uno o più reattori nucleari a fissione.
Cosa succede in una centrale nucleare?

All’interno di una Centrale Nucleare

Per pervenire dalla fissione nucleare all’energia elettrica, il primo passo per gli operatori degli impianti nucleari è quello di essere in grado di controllare l’energia sprigionata dall’uranio arricchito e permettere allo stesso uranio di trasformare l’acqua in vapore.
L’uranio arricchito è tipicamente formato in pellets di 2,5 cm di lunghezza, ciascuno avente circa lo stesso diametro di dimensione. Successivamente, il pellet è disposto in lunghi cilindri, e le barre sono raccolte in fasci. I fasci sono immersi in acqua in un recipiente a pressione. L’acqua agisce come liquido di raffreddamento. Per far sì che il reattore funzioni, i fasci sommersi devono essere leggermente supercritici. Lasciato a se stesso, l’uranio si surriscalderebbe e si fonderebbe.

L’interno del nocciolo, schematicamente, è mostrato nell’immagine sottostante.

Si tratta di centinaia di barre di combustibile (uranio arricchito o plutonio) alternate con barre moderatrici (in genere berillio o grafite) e di controllo (in genere cadmio o boro, che possono scorrere verticalmente comandate dall’esterno per regolare la potenza della centrale).
Per evitare il surriscaldamento, si utilizzano quindi queste barre di controllo, barre che assorbono neutroni attraverso un meccanismo che può alzare o abbassare le stesse barre.

Alzando e abbassando le barre di controllo, si consente agli operatori di controllare la velocità della reazione nucleare. Quando un operatore vuole che il nocciolo di uranio produca più calore, le barre di controllo vengono sollevate dal fascio di uranio (quindi assorbendo meno neutroni). Per creare meno calore,  le barre sono calate nel fascio di uranio. Le barre possono anche essere abbassate completamente nel fascio di uranio per chiudere il reattore nel caso di incidente o per cambiare il combustibile.

Dentro questo nocciolo viene realizzata quindi la reazione nucleare a catena controllata che produce l’energia che ci interessa.

La peculiarità di questo fornello, rispetto agli altri ad esempio delle centrali termiche, riguarda  le elevatissime temperature che si originano dalla reazione nucleare. Come detto, il sistema deve essere ben controllato per mantenerlo sempre a  temperature (intorno ai 400 °C) tali da non danneggiarlo.
I fasci di uranio agiscono come una fonte estremamente alta di calore. Riscaldano l’acqua e la trasformano in vapore. Il vapore aziona una turbina, che mette in movimento un generatore per produrre energia. Gli esseri umani hanno sfruttato la trasformazione dell’acqua in vapore per centinaia di anni.

Serve quindi un efficientissimo sistema di raffreddamento ed estrazione del calore prodotto. In pratica  deve circolare dell’acqua per estrarre il calore prodotto con continuità.

La quantità d’acqua richiesta è notevole e, a volte, la stessa acqua non ce la fa ad assorbire tutto il calore prodotto; è il caso di alcune centrali nucleari che debbono utilizzare del sodio liquido per la sua maggiore efficienza relativa allo scopo.

 Passiamo ora a vedere come questo nocciolo è collegato all’insieme della centrale, a partire dagli elementi fondamentali.

Il vapore d’acqua (ci riferiamo ora al vapore d’acqua come  intermediario per gli scambi di calore, ma ve ne sono anche altri) ad alte temperatura e pressione esce dal nocciolo ed in E entra nella prima parte (scambiatore) del sistema che va a produrre energia elettrica. Nello scambiatore il vapore proveniente dal nocciolo cede gran parte della sua energia termica all’acqua ivi presente.

Questa, a sua volta, diventa vapore ad alte pressione e temperatura che è canalizzato verso turbine gigantesche che, a loro volta, fanno girare enormi generatori di corrente alternata (che dovrà poi essere trasformata prima dell’invio nell’elettrodotto).

Ma ora torniamo al vapore che ha fatto girare le turbine.
Fuoriuscito da queste, esso si dirige verso un sistema (condensatore) che serve a raffreddarlo al fine di rinviarlo sotto forma di acqua nello scambiatore.
La quantità di calore da sottrarre è enorme e, spesso, non basta lo scambio semplice con una sorgente fredda naturale, come acqua di fiumi, laghi o mare (grandi masse d’acqua vengono aspirate da queste sorgenti fredde, vanno a sottrarre calore all’acqua proveniente dallo scambiatore, vengono quindi riversate di nuovo nella sorgente fredda ma a temperature superiori di vari gradi).
Occorre raffreddare queste masse d’acqua prima di riversarle di nuovo nelle sorgenti fredde, facendole circolare dentro delle gigantesche torri di raffreddamento.
Quando il liquido di raffreddamento a contatto con il nocciolo del reattore è gas (anidride carbonica) o metallo liquido (sodio, potassio), i reattori permettono al nucleo di funzionare a temperature più alte.
Nella sezione successiva, esploreremo le barriere di protezione tra di noi e il cuore atomico della centrale.

In sintesi, per sfruttare una tale energia sono necessarie alcune condizioni:
– occorrono una enormità di nuclei che simultaneamente si fissionino;
– occorre innestare la reazione a catena che deve mantenere la combustione per produrre energia con continuità;
– occorre il controllo del processo: la possibilità di regolarne la potenza nel tempo e nella durata.

La struttura di un reattore nucleare deve quindi prevedere schematicamente:
– un fornello, detto nocciolo, nel quale si sviluppi la reazione a catena;
– un efficientissimo sistema di estrazione del calore (raffreddamento) dal nocciolo;
– una schermatura molto importante per fermare le radiazioni prodotte in modo ineliminabile dal processo di fissione;
– sistemi di regolazione dei processi mediante strumenti di controllo, al fine dell’uso pratico del reattore.

Al di fuori di una centrale nucleare

Una volta oltre il reattore stesso, c’è poca differenza tra una centrale nucleare e una centrale a carbone o ad olio combustibile, fatta eccezione per la fonte di calore usata per creare il vapore. Ma  essendo una fonte che può emettere livelli dannosi delle radiazioni, sono necessarie ulteriori precauzioni.

Un rivestimento di cemento generalmente racchiude il reattore e agisce come uno scudo di radiazione. Questo rivestimento, a sua volta, è ospitato all’interno di un contenitore (detto Vessel) molto più grande  in acciaio. Il Vessel contiene il nocciolo del reattore, che i lavoratori dell’impianto utilizzano per il rifornimento e manutenzione del reattore. Il Vessel di contenimento in acciaio funge da barriera per impedire la perdita di eventuali gas o liquidi radioattivi dalla centrale.
Un edificio di cemento esterno serve come ultimo strato esterno, proteggendo il Vessel. Questa struttura in calcestruzzo è abbastanza forte per sopravvivere al tipo di danni enormi che potrebbero derivare da terremoti o dallo schianto di un aereo. Queste strutture secondarie di contenimento sono necessarie per impedire la fuga di radiazioni e vapore radioattivo in caso di incidente. L’assenza di strutture di contenimento secondario nelle centrali nucleari sovietiche ha consentito al materiale radioattivo di fuoriuscire a Chernobyl.
Lavoratori nella sala di controllo presso la centrale nucleare sono in grado di monitorare il reattore nucleare e intervenire se qualcosa va storto.

Classificazione dei reattori nucleari (da wikipedia)

Reattore nucleare a fissione

Tutti questi reattori utilizzano generalmente uranio e/o plutonio; sono stati condotti alcuni studi ed avanzate proposte per l’uso del “ciclo del torio” (con grandi vantaggi per quanto riguarda le scorie) su alcune tipologie di impianti.

  • Reattori nucleari di I generazione: si tratta di piccoli reattori sperimentali o proto-commerciali degli anni quaranta-cinquanta, evoluti poi nella II generazione
  • Reattori nucleari di II generazione, versioni commerciali derivate di quelli di prima generazione. Sono gran parte dei reattori attualmente in funzione.
    • Reattori moderati a grafite:
      • Magnox – reattori di origine britannica raffreddati a gas oggi obsoleti;
      • AGR (Advanced gas-cooled reactor) – evoluzione dei Magnox;
      • Reattore nucleare RBMK, classe sovietica raffreddata ad acqua bollente ormai obsoleta cui appartiene la centrale di Chernobyl.
    • Reattori raffreddati e moderati ad acqua:
      • BWR reattori ad acqua leggera bollente (Boiling Water Reactor) in cui il fluido che muove la turbina è in contatto diretto con gli elementi di combustibile; di origine americana.
      • PWR, reattori ad acqua leggera pressurizzata (Pressurized Water Reactor), in cui vi sono due circuiti d’acqua in serie (categoria a cui appartiene la centrale di Three Mile Island); di origine americana.
      • CANDU Reattore ad acqua pesante pressurizzata di origine canadese (a detta dei progettisti, adatto all’uso del torio).
  • Reattori nucleari di III generazione e di III+ generazione, introducono migliorie senza cambiamenti sostanziali (in fase di definizione/progettazione con pochissimi esempi realizzati o in costruzione), ad esempio:
    • EPR o Reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata, basato sul PWR, è un reattore nel quale il raffreddamento e la moderazione vengono ottenuti grazie all’ acqua pressurizzata; di origine franco-tedesca.
    • ABWR o Reattore nucleare avanzato ad acqua bollente, basato sul BWR.
    • ESBWR, Reattore Economico Semplificato ad Acqua Bollente, basato sul BWR.
    • AP, Reattore Pressurizzato Avanzato, basato sul PWR; di origine americana.
    • Evoluzioni della filiera CANDU di origine canadese (a detta dei progettisti, adatti all’uso del torio)

 

  • Reattori nucleari di IV generazione: attualmente la dicitura si riferisce ufficialmente ad alcune proposte di un consorzio internazionale; introducono cambiamenti sostanziali nel processo tecnologico (in fase di studio).

Si fa presente che queste distinzioni sono state definite sostanzialmente a posteriori e che il confine fra una e l’altra generazione non è sempre netto ed individuabile. Ad esempio alcune caratteristiche tipiche dei cosiddetti 4° generazione sono già state sperimentate fin dagli anni quaranta con una accelerazione negli anni settanta, senza tuttavia far decollare la filiera a causa dei problemi riscontrati.

VARI TIPI DI CENTRALI NUCLEARI                                                                                                                     

Le centrali più diffuse sono quelle ad acqua leggera (Light Water Reactor, LWR) che sono di due tipi, quelle ad acqua in pressione (PWR, brevetto Westinghouse) e quelle ad acqua bollente (BWR, brevetto General Electric). In tali centrali il combustibile è uranio arricchito ed il moderatore è acqua naturale.  Vi sono poi le centrali ad acqua pesante (Heavy Water Reactor, HWR) che sono essenzialmente quelle brevettate in Canada (CANadian Deuterium-Uranium, CANDU). In tale centrale il combustibile è uranio naturale ed il moderatore è acqua pesante.  Altro tipo di centrali è quello sviluppato principalmente in Francia, si tratta dei reattori autofertilizzanti o reattori veloci o breeders (LMFBR).  Vi sono infine alcuni tipi di centrali sviluppate nella ex URSS che vedremo oltre, soffermandoci solo al tipo VVER 440 essendo questo il reattore di Chernobyl. Altre centrali hanno ormai solo un  interesse storico come quelle a gas (Magnox ed AGR), sviluppate soprattutto in Gran Bretagna.

CENTRALI  LWR  DI  TIPO  PWR

Riproduco lo schema di funzionamento di tale centrale  per illustrarla in breve

Fatto che distingue questo tipo di reattore dal BWR è il circuito chiuso dell’acqua che dal nocciolo va allo scambiatore.

Un altro circuito d’acqua, completamente separato, è quello che muove le turbine.

Inoltre, l’acqua che si trova nel nocciolo, oltre ad essere ad alta temperatura è anche ad alta pressione perché, ad essa, viene impedita ogni espansione.

Le dimensioni standard di un nocciolo sono di circa 5 metri di diametro e di circa 15 metri di altezza con uno spessore del contenitore di acciaio che varia dai 150 ai 300 mm.

La carica di combustibile prevede circa 90 tonnellate che permettono il suo funzionamento per circa un anno. La pressione dell’acqua è intorno ai 150 Kg/cm² e la temperatura intorno ai 280 °C.

CENTRALI LWR DI TIPO BWR

Parto anche qui da uno schema di principio di questi reattori

Come si vede, l’acqua a diretto contatto con il combustibile nucleare, è quella che, bollendo, fornisce il vapore che fa muovere le turbine.

Altro vapore viene fornito dallo scambiatore.

In questa centrale, come nell’altra PWR, l’acqua svolge due ruoli: quella di raffreddamento del sistema e quella di moderatore dei neutroni generati nella reazione nucleare.

CENTRALI  HWR  DI  TIPO  CANDU

 Anche qui parto da uno schema del nocciolo di un CANDU. 
Cambia un poco la struttura ma il principio è il medesimo.
Anche qui il vapore va ad azionare delle turbine ed è necessario un condensatore per il raffreddamento dell’acqua che dovrà tornare ad estrarre calore dal nocciolo.

Qui il circuito dell’acqua a contatto con gli elementi di combustibile deve essere rigorosamente sigillato in quanto contiene acqua molto costosa, l’acqua pesante.

La carica degli elementi di combustibile è circa di 130 tonnellate inserite nel contenitore che ha un diametro di meno di 10 metri, una lunghezza di circa 6 metri ed uno spessore di circa 30 millimetri.

REATTORI  RAFFREDDATI  A  GAS

Presento solo uno schema di una tale centrale, la GCR MAGNOX, che utilizza uranio naturale (in sbarre racchiuse in una lega di magnesio chiamata magnox) come combustibile,  anidride carbonica come estrattore del calore, barre di acciaio al boro come controllo e  barre di grafite come riflettore e come moderatore.

Si vede facilmente che, a parte il nocciolo ed i dimensionamenti relativi alle potenze in gioco, la struttura è ancora simile a quella delle altre centrali termiche. La carica di combustibile è di circa 350 tonnellate.

REATTORI VELOCI

In questi reattori manca un moderatore. Di conseguenza i neutroni non sono rallentati molto.
Ciò vuol dire che il combustibile deve essere dell’uranio arricchito con una percentuale maggiore di Uranio 235 o direttamente del plutonio.
Questi reattori sono anche chiamati autofertilizzanti perché portano simultaneamente avanti due processi: da una parte producono energia e dall’altra si fabbricano il combustibile per il futuro arricchendo dell’uranio naturale disposto appositamente a mantello intorno al nocciolo.
Come sappiamo se l’uranio naturale viene colpito da neutroni veloci, si realizza la reazione nucleare che dà origine al plutonio.

E, come abbiamo visto, queste centrali funzionano proprio con barre contenenti buone percentuali di plutonio. Per rendere efficiente il processo di conversione di uranio in plutonio occorre che il reattore lavori a temperature più alte rispetto a quelle di altri tipi di centrale.
Queste elevate temperature fanno si che è impossibile usare acqua per il raffreddamento, poiché la pressione sarebbe molto elevata mettendo a rischio la sicurezza delle canalizzazioni.
E’ qui dove si usa del sodio liquido che ha la proprietà di mantenere basse pressioni ad elevate temperature. Ma ciò non basta: occorre anche che questo sodio venga fatto circolare ad elevate velocità per sottrarre tutto il calore al nocciolo.
Nella figura  sottostante è mostrato un nocciolo di tali reattori. Si noti il mantello di uranio che, nel funzionamento, viene preparato per il successivo uso.

Reattore nucleare a fusione

Questi reattori dovrebbero usare come “combustibile” deuterio e trizio (principi fisici applicati in fase di definizione teorica)

  • Tokamak (тороидальная камера с магнитными катушками) o Camera toroidale a bobine magnetiche
    • JET (Joint European Torus), progetto principale dell’Unione Europea, su cui si basa ITER;
    • ITER, DEMO e PROTO, progetti successivi dell’Unione Europea.
    • IGNITOR progetto italiano dell’ENEA

Centrale nucleare a fusione

Le centrali a fusione nucleare si baseranno su un principio differente: anziché scindere atomi pesanti mediante bombardamento con neutroni come avviene nella fissione, la fusione implica invece l’unione di due atomi leggeri, generalmente trizio e deuterio, ottenendo dal processo una enorme quantità di energia termica, un nuovo nucleo più grande (quale l’elio) e nucleoni. È lo stesso processo utilizzato dal Sole e nelle bombe termonucleari (o bombe all’idrogeno, infatti deuterio e trizio sono isotopi dell’idrogeno). Questo tipo di reattori è da anni allo studio di diversi gruppi di scienziati e tecnici, ma sembra non aver ancora dato risultati apprezzabili in quanto, pur essendo riusciti ad avviare la reazione di fusione, a oggi non si è in grado di mantenerla stabile per tempi significativi. Attualmente si attende la realizzazione del progetto ITER, un impianto che vorrebbe dimostrare la possibilità di ottenere un bilancio energetico positivo (ma senza produzione di energia elettrica). Un altro progetto è DEMO che prevede la realizzazione di una vera e propria centrale a fusione nucleare. Le stime attuali non prevedono l’utilizzo effettivo di energia da fusione nucleare prima del 2050.

Vantaggi e svantaggi

Le centrali a fusione nucleare produrrebbero, come principale tipo di scoria, elio che è un gas inerte e assolutamente non radioattivo, inoltre non userebbero sistemi a combustione e quindi non inquinerebbero l’atmosfera (di fatto non avrebbero emissioni di pericolosità rilevante). In più dovrebbero essere in grado di ottenere grandi quantità di energia, superiori rispetto a quelle delle centrali a fissione odierne.

Esistono vari meccanismi di fusione nucleare, tuttavia il più facile da produrre artificialmente richiede l’utilizzo di due isotopi pesanti dell’idrogeno: deuterio e trizio. Il deuterio rappresenta una minima percentuale, un cinquemillesimo dell’idrogeno in natura, ma può essere convenientemente ottenuto tramite elettrolisi dall’acqua pesante. Il trizio, al contrario, essendo radioattivo ed avendo una vita media molto breve, non è presente sulla terra; può essere prodotto con reazioni nucleari indotte tramite bombardamento neutronico di isotopi del litio. Inoltre, a causa della sua instabilità, il trizio non può essere stoccato per lunghi periodi; deve essere prodotto sul momento sfruttando i neutroni prodotti dalle reazioni di fusione oppure da un centrale ausiliaria a fissione.

Si può alimentare una reazione di fusione anche solo con atomi di deuterio, tuttavia il bilancio energetico, meno conveniente della reazione di fusione del trizio, ne rende molto più difficile lo sfruttamento ai fini della produzione di energia.

La fusione richiede temperature di lavoro elevatissime, tanto elevate da non poter essere contenuta in nessun materiale esistente. Il plasma di fusione viene quindi trattenuto grazie all’ausilio di campi magnetici di intensità elevatissima, e le alte temperature vengono raggiunte con l’utilizzo di potenti laser. Il tutto rende il processo difficile, tecnologicamente dispendioso e complesso.

Il problema delle scorie derivanti dall’attivazione neutronica di parti degli edifici del reattore, è minimo: i tempi di decadimento della radioattività indotta nei suddetti materiali sono comparabili con i tempi di vita delle centrali stesse. E benché le quantità di materiale attivato possano essere considerevoli, il problema del loro stoccaggio è enormemente più semplificato rispetto al caso delle centrali a fissione. Comunque sia, i risultati nel campo della ricerca di materiali a bassa attivazione, sono incoraggianti.

Written by sistemielettorali

2 dicembre 2009 at 14:35

Nucleare, il dibattito in Parlamento.

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Ecco, infine, gli interventi in Parlamento. I resoconto stenografici sono reperibili presso i siti web di Camera e Senato. 

GIANLUCA BENAMATI.
[…] Qui si tratta, signor Presidente, dei criteri direttivi con i quali il Governo dovrà esercitare la delega che gli conferiamo. Al punto c) si riconoscono alcuni benefici economici alle popolazioni e alle imprese che siano residenti e ubicate nei siti o all’intorno dei siti nei quali sorgeranno impianti di produzione di energia elettrica per via nucleare o impianti di stoccaggio di materiale radioattivo. L’emendamento che proponiamo mira ad estendere questo tipo di sostegno economico – che, si badi bene, è a carico delle aziende costruttrici ed esercenti degli impianti – anche gli enti locali e alle comunità locali.
[…] L’emendamento in esame nell’attuale formulazione ci trova favorevoli, perché recepisce un principio per noi intangibile, ossia il principio per cui tutto ciò che potrà operare sul territorio nazionale in un’ottica di produzione di energia nucleare o di deposito delle scorie di rifiuti radioattivi debba essere autorizzato dall’Agenzia per la sicurezza nucleare o, secondo i casi, dal Governo.
[…] Cosa prevede l’articolo 16 sull’energia nucleare? Al primo capoverso esso dispone: «Con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono definite le tipologie degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati sul territorio nazionale».
Ebbene, signor Presidente, abbiamo già una prima osservazione di merito sul termine «tipologie», in quanto riteniamo che un Comitato interministeriale dovrebbe stabilire dei «criteri» o dei «requisiti» all’interno dei quale potersi muovere. Ma questo sarà oggetto di un successivo emendamento e sarà discusso in seguito. Ciò che qui si dice è che, nel momento in cui un Comitato interministeriale deve definire delle caratteristiche di impianti che si realizzeranno in Italia (saranno caratteristiche tecniche: la potenza, la struttura dei sistemi di refrigerazione, il combustibile, ma anche caratteristiche di impatto ambientale e salubre, quindi anche sanitario) la logica vorrebbe che, in questo concerto dei Ministeri vi fosse anche il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, per quanto ad esso compete in termini di sicurezza e salute del pubblico. Mi pare non sia pleonastico chiedere, in un’Aula nella quale molti parlamentari paventano rischi per la popolazione, che nella definizione di siffatte caratteristiche intervenga anche il Ministero deputato alla tutela della salute pubblica.
[…] l’emendamento in esame, che ha ricevuto il parere favorevole del Governo e della Commissione, si riferisce ad uno dei maggiori problemi del nucleare, che è quello dello scarso sfruttamento del combustibile e della quantità di scorie elevate. L’emendamento attuale va nella direzione di inserire nelle linee di ricerca proprio quelle del trattamento e dello stoccaggio del combustibile esaurito, con particolare riferimento alla separazione e alla trasmutazione delle scorie.

PIER LUIGI BERSANI.
Quando facemmo la riforma del sistema elettrico, nel 1999, individuammo attorno a Sogin Spa il soggetto operativo, potremmo dire il playmaker di un’operazione che riguardava gli esiti del nucleare, e quindi una soluzione di sistema ai problemi che rimanevano aperti.
Avevamo previsto che Sogin Spa fosse il punto ordinatore dell’operazione industriale, prevedendo anche la possibilità di fare accordi industriali con società a prevalente capitale pubblico, così che potesse partire il decommissioning. Avevamo previsto che Sogin Spa potesse cooperare insieme ad ENEA per la localizzazione del deposito di superficie. Dal 2001 al 2006 tutte le operazioni si fermarono; negli ultimi due anni si è ripresa un’operazione che ha a che fare con il decommissioning, cioè lo spostamento temporaneo delle prime barre in Francia.
[…] Vi invito a riflettere: se ci sono problemi per quel che riguarda la migliore composizione tra le strategie di Sogin Spa e le strategie dell’industria nazionale, se ci sono problemi di miglior delimitazione dei compiti fra Sogin Spa, ENEA e così via, si discuta, si risolva, si può fare in una settimana, però, attenzione, non veniteci a raccontare che nel 2020 si parte con la produzione nucleare se fate perdere un altro giro sul deposito di superficie e sul decommissioning delle centrali esistenti.

ALESSANDRO BRATTI.
[…] nella proposta del Governo non mi pare che sia garantita l’indispensabile terzietà della struttura. È vero che dei miglioramenti ci sono stati, ma ben diversa è, ad esempio, la situazione dell’Agenzia francese, i cui vertici sono nominati dalle massime cariche istituzionali dello Stato, attraverso un meccanismo meno tortuoso e più trasparente.
Vi è, poi, un’altra anomalia, data dalla presenza di due rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico nel consiglio di amministrazione, quasi a costituire una sorta di presidio di controllo dell’operato della struttura. In Germania, ad esempio, la sicurezza del nucleare è garantita attraverso il Ministero dell’ambiente. D’altronde, nel nostro Paese è ormai evidente che il Ministro dell’ambiente ha rinunciato a questo ruolo.
Quindici anni fa si era raggiunto, finalmente, un alto grado di indipendenza dell’ente di controllo, che non era più collocato nel Ministero dell’industria, ma in quello dell’ambiente; ora si fa il contrario. Nonostante ciò, e preso atto di questa situazione, si chiede almeno che fra i quattro componenti del consiglio di amministrazione vi sia un rappresentante nominato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni, e ciò perché molti adempimenti oggi sono svolti proprio dalle regioni.

NUNZIA DE GIROLAMO.
[..] vorrei ricordare ai colleghi dell’opposizione che l’Italia sta vivendo un momento di emergenza energetica tant’è vero che nel 2007 abbiamo importato ben l’87 per cento del fabbisogno energetico. Se continuassimo così, nel 2010, si prevede un ricorso all’estero, in termini di energia, pari a ben il 90 per cento. Pertanto, il Governo non può restare inerte rispetto a una tale emergenza energetica e deve far ricorso ad un mix energetico che possa andare incontro alle famiglie italiane e alle imprese, costrette a pagare ben il 30 per cento di più delle bollette rispetto al resto dell’Europa.

MASSIMO DONADI.
Noi decidiamo oggi di avvicinarci al nucleare di terza generazione nel momento in cui tutti i Paesi, che storicamente sono stati all’avanguardia nel settore nucleare o che hanno puntato sul nucleare come momento fondamentale della propria efficienza ed autonomia energetica, stanno decidendo di disinvestire da questo settore. Pochissimi sono i grandi Paesi nucleari che stanno realizzando nuove centrali nucleari e pochissimi sono i Paesi che pur non avendo fino ad ora una struttura di produzione dell’energia basata sul nucleare decidono in questo momento di avvicinarsi.
Si è visto come i costi di realizzazione di queste centrali siano assolutamente imprevedibili e tendano ad allungarsi moltissimo; si è visto come si tratti di centrali costosissime e si è visto – e questo credo che sia un aspetto sul quale quest’Aula farebbe bene a soffermarsi – come si tratti di un sistema di produzione dell’energia che non solo costa tanto a realizzarla, ma costa ancora di più a smantellarla. Il cosiddetto costo di decommissioning è quello che sta mettendo in crisi le scelte energetiche di gran parte dei Paesi che hanno puntato tutto sul nucleare, come dicevo prima.
Oggi gran parte dei Paesi che hanno scelto l’opzione nucleare non stanno realizzando nuove centrali nucleari per la semplice ragione che si trovano costretti a prolungare di dieci, vent’anni e anche trent’anni la vita delle centrali già realizzate, che sono state in alcuni casi costruite negli anni Sessanta e che ancora oggi vengono tenute in funzione.
Inoltre, è ancora totalmente irrisolto il problema della gestione delle scorie radioattive. Un dato che dovrebbe far riflettere quest’Assemblea nel momento in cui decide, con tanta baldanza e frettolosità di imboccare questa strada (una strada dalla quale poi non ci si potrà essere un’altra volta ritorno), è che ad oggi nel mondo non è ancora stato realizzato un solo sito di stoccaggio geologico per le scorie radioattive. I siti geologici sono quelli che consentono lo stoccaggio di quella parte di scorie radioattive che mantiene la radioattività per migliaia di anni.
Oggi né la Francia, né l’Inghilterra, né il Giappone, né gli Stati Uniti hanno per le applicazioni civili ancora un sito geologico. Ancora oggi si pone il problema di come gestire e di come mantenere in condizioni sicurezza per migliaia di anni le scorie radioattive.
C’è una risposta a tutto questo? La risposta io credo che ci sia ed è, come più volte ribadito di quest’Aula, il nucleare di quarta generazione. Certo non è una risposta disponibile oggi, tuttavia, nella scelta che il Parlamento si appresta a fare vi è un’altra clamorosa contraddizione. Secondo quanto ritengono i più autorevoli scienziati e studiosi del settore, il nucleare di quarta generazione sarà disponibile tra quindici o vent’anni, esattamente il tempo che l’Italia impiegherà per realizzare le otto centrali nucleari che sta progettando in questo momento.
È evidente che la costruzione di otto centrali nucleari nei prossimi vent’anni assorbirà sino all’ultimo centesimo ogni quattrino disponibile in questo Paese per gli investimenti nell’energia. Questo significa che, siccome le centrali non le avremo – nemmeno una – prima del 2020, non saremo in grado di rispettare i parametri del Protocollo di Kyoto, che ci richiedono, per quella data, una riduzione del 20 per cento delle emissioni nocive.

LUCIANO DUSSIN.
Allora è giusto anche ricordare qualche evento che ha interessato la vita degli ultimi anni del nostro Paese. Già nel 1960 e nei primi anni Sessanta, eravamo al terzo posto a livello mondiale in materia di produzione di energia elettrica nucleare. Prima di noi vi erano solo gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna. Poi, a seguito del referendum che tutti ben conosciamo, abbiamo preso una decisione, ma non abbiamo chiuso solo le tre centrali operative, bensì abbiamo bloccato anche i 12 progetti di nuove centrali che erano in corso.
Dopo qualche anno fu fatto uno studio sui costi di questa scelta. Quello studio, alla fine, sentenziò una cifra dall’importo quasi clamoroso come costo per le tasche nostre di cittadini; in quello studio si parlava ancora in lire (quando il petrolio costava 15 dollari al barile, non 100 o 150). Ebbene, il costo di quella scelta fu di 210 mila miliardi di vecchie lire, che inevitabilmente sono andati a pesare sugli stipendi degli operai, sulle pensioni degli anziani e via dicendo. Quindi, costi eccezionalmente alti.
È giusto calarsi nella realtà degli eventi e ricordare anche alle poche voci dissonanti che ho ascoltato in quest’Aula nelle ultime ore che la demagogia non paga (infatti, sembra che il Parlamento l’abbia accantonata). Difatti, quando 17 frigoriferi o 17 televisori su ogni area del nostro Paese funzionano con energia elettrica nucleare importata da Paesi stranieri, bisogna assumersi la responsabilità di cominciare a ragionare sul fatto che conviene produrla a casa nostra.
Ricordo, per primo a me stesso, che per quanto riguarda l’effetto occupazionale in Francia nel settore dell’energia nucleare lavorano 160 mila persone, vale a dire cinque, sei o sette volte la FIAT. Allora, noi in questi anni, pagando, abbiamo creato posti di lavoro in Francia, e non solo (importiamo energia anche dalla Germania, dalla Slovenia e da altri Paesi), andando a penalizzare il nostro potere contrattuale con l’Unione europea. Pagando, infatti, l’energia elettrica prodotta in altri Paesi, si è poi succubi delle scelte, delle priorità e delle esigenze di chi, comunque, possiede l’energia elettrica e potrebbe anche mettere il veto sulla cessione ai nostri utilizzatori.

LAURA FRONER
[…] Riteniamo infatti che il carattere di terzietà dell’Agenzia sia una priorità, affinché questa possa essere vissuta come un soggetto realmente super partes che tuteli prima di tutto i cittadini.
È con questo spirito, quindi, che chiediamo che la nomina dell’Agenzia avvenga con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.
Sempre nello spirito di rafforzare la terzietà dell’Agenzia intendiamo incidere sulla composizione della stessa, rendendola meno dipendente dai Ministri e di maggiore tutela anche nei confronti degli enti locali.
Per questa ragione, proponiamo che dei quattro componenti che affiancano il presidente uno sia proposto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.
[…] volevo ribadire come risulti strana la proposta di sostituire l’ENEA con l’ENES. Il testo prevede, infatti, che l’istituzione dovrebbe svolgere le proprie funzioni con le risorse finanziarie strumentali e di personale che erano dell’ENEA. È una proposta che ci risulta assolutamente incomprensibile, in quanto l’ente guidato da Paganetto, nominato commissario dal precedente Governo Berlusconi e riconfermato presidente dal Governo Prodi, aveva dato prova di indiscutibili competenze.
Appare quindi strano che i primi passi che il Governo si appresta ad effettuare nel settore dell’energia nucleare prevedano la soppressione di un marchio e di un ente ormai affermato come l’ENEA. L’unica spiegazione può essere la volontà da parte del Governo di sottoporre l’Agenzia, che dovrebbe rappresentare un soggetto super partes, al massimo controllo da parte del Ministro dello sviluppo economico, e di orientare in modo determinante l’azione dell’Agenzia verso l’energia nucleare, lasciando in secondo piano lo sviluppo delle altre fonti energetiche.

MAURO LIBÈ
Noi abbiamo al nostro esame un emendamento successivo che prevede proprio questo, di accettare la priorità di dispacciamento dell’energia prodotta dal nucleare se non consta di più, altrimenti cosa si fa? Si dà priorità a energia caricandola sui cittadini con un costo in bolletta molto più alto. Avremmo portato a casa due danni: la costruzione di centrali che non tutti i cittadini vogliono e un aumento del costo dell’energia in Italia. Quindi, colleghi, stiamo molto, molto attenti a questo aspetto.

ANDREA LULLI.
[…] Quando si adotta la dizione di cui alla lettera a), peraltro riportata anche nel decreto-legge in materia di rifiuti, che per la realizzazione di determinati impianti prevedeva appunto l’uso dell’esercito, ciò ha infatti un significato preciso.
Questo mette in mora, lo voglio dire con molta franchezza, anche uno dei criteri fondamentali per cui un Paese come il nostro (ma qualsiasi Paese) può tentare il ritorno all’approccio al nucleare: l’approccio al nucleare, per essere realizzato davvero, ha bisogno infatti di un consenso vasto e convinto, ma se passa l’ipotesi che bisogna addirittura militarizzare le aree in cui si pensa di poter realizzare gli interventi è chiaro che in tal modo non si rassicura per niente la popolazione!
Non dimentichiamo che abbiamo partecipato – ed io stesso ho avuto occasione di partecipare – a dibattiti con esperti francesi e statunitensi che hanno richiamato proprio la necessità di evitare l’idea della militarizzazione per intervenire nella realizzazione delle centrali nucleari.
[…] L’Agenzia, se ha un senso, deve avere il dominio della situazione e non può essere intesa come un organo consultivo, perché altrimenti tutta la funzionalità dell’Agenzia per la sicurezza nucleare rischia di essere vanificata. D’altra parte, nei Paesi in cui vi è un sistema nucleare, l’Agenzia ricopre un ruolo centrale non solo di verifica e di controllo, ma anche di indirizzo; pertanto, possiamo anche accettare la riformulazione proposta, ma voglio rimarcare che rinunciare a far svolgere all’Agenzia per la sicurezza nucleare un ruolo direttivo ed autonomo rappresenta, per così dire, un’occasione mancata che credo dovrà essere oggetto di riflessione e di meditazione nel prosieguo dell’iter parlamentare di questo provvedimento.
[…] Non sì può dire che tutti gli investimenti sono a carico delle imprese private. Non si dice totalmente la verità. Infatti, nei costi del ritorno al nucleare non c’è solo la realizzazione di impianti, non c’è solo lo smaltimento delle scorie, che è un onere rilevantissimo e che ha una durata nel tempo imprevedibile, ma vi è la necessità dello smantellamento delle centrali.
E su questo – attenzione! – il fatto che il settore pubblico faccia un passo indietro è un elemento che ci lascia molta preoccupazione. Inoltre non è accettabile che si agiti la questione del nucleare, affermando che è la strada per abbattere il CO2: non è così. A parità di investimenti, il risparmio energetico produce risparmio di CO2 sette volte superiore a quello che può produrre il nucleare. Questi sono dati dell’industria francese (non nostri) che testimoniano come in realtà il nostro Paese deve soprattutto investire in quella direzione creando le condizioni per spostare più avanti la ricerca e l’innovazione.

SALVATORE MARGIOTTA.
[…] rimangono irrisolti sul tappeto alcuni problemi: i rischi e i costi, ma, ancor di più, rimane irrisolto, da oltre vent’anni in Italia, il problema del decommissioning e del sito ove individuare e trasportare le scorie radioattive.
Da questo punto di vista, la lettera d) del comma 2 dell’articolo 15 in esame, è a mio parere inaccettabile. Essa prevede di conferire una delega al Governo, in relazione alla «previsione delle modalità che i produttori di energia elettrica nucleare devono adottare per la sistemazione dei rifiuti radioattivi e dei materiali nucleari irraggiati e lo smantellamento degli impianti a fine vita». A mio parere, questa previsione è inaccettabile. È inaccettabile che siano gli stessi produttori di energia elettrica a doversi occupare del problema, ma è ancora più inaccettabile che il Parlamento possa conferire una delega al Governo in materia.
[…] Avete detto questa mattina che volete intraprendere la politica energetica nucleare con trasparenza, partecipazione e coinvolgendo le popolazioni. Eppure – si è votato questa mattina – alla lettera e), comma 2, dell’articolo 15 prevedete l’utilizzo di poteri sostitutivi del Governo qualora non vi sia l’accordo con le amministrazioni locali. Inoltre, alla lettera f), comma 2, dell’articolo 15, il Governo prevede il procedimento dell’autorizzazione unica.
Con questo emendamento, prevediamo che si utilizzi l’autorizzazione unica, ma almeno si preveda esplicitamente che non potrà essere concessa autorizzazione se non previa procedura di valutazione di impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica. Signor Presidente, in Italia per realizzare una qualsiasi opera anche di minore importanza, per esempio, in aree protette, bisogna obbligatoriamente ottemperare alle procedure di VIA e VAS, persino se si vuole fare una recinzione. È possibile non attuare queste procedure nel momento in cui si vuole realizzare un impianto per la produzione energetica nucleare?
Perché vogliamo la VIA e la VAS? Esattamente perché nell’ambito di tali procedimenti è obbligatoria una fase di informazione al pubblico, vi è cioè una fase in cui i cittadini e le istituzioni possono fare osservazioni, suggerimenti, possono manifestare intendimenti.
[…] La prima riguarda il fatto che, nel corpo di questo articolo, si elimina la Cassa conguaglio per il settore elettrico. È stato già affermato anche dal collega Polledri che, in questo modo, si crea una pericolosa sovrapposizione tra controllato e controllore, con la quale non si capisce bene chi potrà rispondere. Si priva la Sogin di funzioni e la si commissaria. Autorevolmente, il Ministro del Governo ombra del Partito Democratico, l’onorevole Bersani, si è soffermato nello spiegare perché ciò è sbagliato.
La verità è che in questa fase il Governo applica ovunque lo spoil system, cambia il management ovunque può e, dove non può, chiude gli enti che non siano guidati da persone gradite. Pensiamo all’APAT e all’ENEA, come ci accorgeremo nel seguito dell’esame del provvedimento.
In questo caso, il problema ha una sua gravità. In Sogin Spa esistono competenze che andrebbero utilizzate proprio da chi vuole lavorare al rilancio per il nucleare, invece si priva Sogin Spa di una serie di competenze e di funzioni. Si decapita Sogin Spa nonostante il nuovo corso, che ha fatto seguito alla gestione, per me famigerata, del generale Jean. Il nuovo corso ha operato bene, ha avviato a soluzione alcuni problemi e, in questo caso, lo si azzera. Si decapita la Sogin Spa, ovviamente al fine di procedere, attraverso lottizzazione e favori da fare evidentemente a chi è gradito al Governo, verso nomine magari di basso profilo e non di pari competenze.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO.
[…] Di particolare rilievo è la lettera d), del comma 2, che prima l’onorevole Margiotta ha letto e che mi sembra utile richiamare e sottoporre nuovamente all’attenzione di tutta l’Aula. Infatti parliamo della previsione delle modalità che i produttori di energia elettrica nucleare devono adottare per la sistemazione dei rifiuti radioattivi e dei materiali nucleari irraggiati e lo smantellamento degli impianti a fine vita.
Sembra che sia chiara la portata della norma e spero che sia altrettanto chiara l’importanza dell’emendamento che vi sottoponiamo che è differente dal precedente perché con quest’ultimo proponiamo che i produttori di energia nucleare debbano adottare tali modalità sotto il controllo della Sogin e dell’Agenzia di sicurezza nucleare.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, richiamo l’attenzione sul fatto che abbiamo approvato, con il decreto-legge precedente, la militarizzazione di alcuni siti: si tratta dei siti produttivi ma non solo, sono quelli di stoccaggio e, in teoria, potrebbero essere anche quelli di produzione del nucleare cioè della coltivazione in montagna. Credo che rendere, come per il caso dell’emergenza rifiuti in Campania, la necessità di mettere i militari a presidio di questi siti, sia una forzatura della democrazia e una violazione della libertà personale. Immagino, in Valle d’Aosta o sulle Orobie bergamasche, i militari e gli Alpini a presiedere il siti dove andremo a fare ricerca del nucleare, come negli anni Ottanta.

MASSIMO POLLEDRI.
Credo che questa delega al Governo in materia nucleare sia un momento importante e necessario. Abbiamo ben presenti le paure della pubblica opinione e dei cittadini, ma pensiamo di poter garantire una scelta che possa coniugare contemporaneamente la sicurezza e la salute dell’ambiente con la necessità di avere una sicurezza negli approvvigionamenti ed il rispetto dell’ambiente. Oggi il nucleare può comportare maggior rispetto e tutela dell’ambiente.
È sotto gli occhi di tutti il dibattito sulla CO2: non c’è strada per poter ridurre le emissioni di CO2, se non smettere di utilizzare l’automobile – ma non mi sembra un’alternativa proponibile – o evitare l’emissione nella produzione di energia.
Il nucleare consente, da una parte, di rispettare l’ambiente e, dall’altra, anche di garantire che gli impianti vengano effettivamente realizzati nella tutela della salute ed anche nella tutela del ruolo e della responsabilità degli enti locali.
Per questo ritengo che si tratti di un giusto mix di prudenza, realismo e, soprattutto, anche di fattibilità.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI.
[…] Il merito dell’emendamento Lulli 15.7 è molto chiaro: stiamo per conferire una delega al Governo che è assolutamente ampia ed eccessiva rispetto al fatto che il Governo ha la responsabilità di scegliere i siti, ma non può contemporaneamente, nello stesso decreto legislativo, già dichiarare gli stessi siti strategici dal punto di vista militare.
Vi è un problema di procedura che va osservata. La procedura è decisiva: prima, eventualmente, anzi sicuramente, si scelgono i siti, vengono certificati dalle autorità della sicurezza nucleare e, a quel punto, una volta che si è avviata l’eventuale procedura per la costruzione, si dichiara il sito strategico dal punto di vista militare.
[…] L’Agenzia non era ricompresa nel testo originario del Governo. Ogni decisione relativa al nucleare era posta in capo al Ministro competente. Per un certo periodo, nella Commissione di merito, non abbiamo compreso esattamente chi fosse il Ministro competente: il Ministro dell’ambiente litigava con il Ministro dello sviluppo economico. A quel punto, si rischiava di avere un provvedimento che rasentava il ridicolo, perché, a fronte della scelta, di grande impegno, di intraprendere una discussione ed una verifica in campo tecnico e scientifico, relativamente alla possibilità di avviare una fase nella quale in Italia fosse possibile eventualmente porsi di fronte alla necessità di realizzare alcuni impianti nucleari da qui al 2020, in realtà l’Agenzia non era ricompresa.
[…] l’Agenzia, così come risulta dal testo del Governo, come ho detto prima, ha compiti di controllo, di indirizzo e di gestione che conoscono una serie di limitazioni. In particolare, con questo emendamento proponiamo che l’Agenzia per la sicurezza nucleare si occupi non solo dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari, ma anche di quelli prodotti da attività mediche e industriali.
Non si comprende per quale motivo questo tipo di rifiuti radioattivi non possa essere ricompreso nell’attività di controllo di un’Agenzia che svolge una funzione nazionale e ha un potere di intervento funzionando un po’ da filtro nei confronti dei ministeri e del decisore politico.

ENZO RAISI
[…] proprio per evitare questa idea e questa sensazione della militarizzazione, in Commissione, ed è emerso anche nella relazione al provvedimento, si è lavorato molto sugli incentivi alle famiglie e alle imprese, con l’intento di comunicare che avere una centrale nucleare deve essere ritenuto, da parte della popolazione residente, un’opportunità.
Quindi dico questo perché il senso che abbiamo dato a tutto il provvedimento non era certamente quello di imporre dall’alto una realtà, ma di creare consenso dal basso. Tant’è che, ad esempio, si è discusso molto sull’eventualità di dare i contributi attraverso gli enti locali (come è sempre avvenuto in passato), ma la Commissione ha preferito elaborare un dispositivo finale concentrato sugli aiuti alle famiglie e alle imprese, sostanzialmente seguendo in parte il modello francese.

FABIO RAMPELLI.
Quindi, rivendico una sorta di voto di astensione rispetto ad un provvedimento che contiene una parte sicuramente importante, positiva – quella sullo sviluppo, sull’aiuto alla nostra economia per favorirne la ripresa in una fase certamente complessa -, ma che ha un vulnus, una sorta di approccio culturale a mio giudizio non convincente sia in ordine alle scelte in termini di politica energetica, sia in ordine alla nota problematica del CIP6.
Penso che tutte le posizioni siano totalmente legittime, ma penso anche che questi siano due episodi critici, su cui occorreva fare un lavoro diverso per garantire un maggiore coinvolgimento da parte della società. Vorrei rammentare – e questo forse dovrebbe bastare – che nel 1987 sull’energia nucleare si è tenuto un plebiscitario referendum, con un’elevatissima partecipazione da parte dei cittadini italiani e molti, anche dei deputati che oggi sono qui a rappresentare alcuni partiti del centrodestra e del centrosinistra, hanno svolto alcune battaglie.

ERMETE REALACCI
[…] vorrei dire al collega Polledri che sono assolutamente d’accordo con lui che chi costruisce le centrali deve farsi carico anche dei costi, che sono enormi, della chiusura del ciclo dello stoccaggio delle scorie. Per questo il nucleare di terza generazione non si farà nel nostro Paese. Tuttavia c’è un problema e lo dico soprattutto ai colleghi della Lega: le procedure che stiamo votando, caso unico in Occidente, prevedono che, ad un certo punto, il Governo nazionale possa anche forzare la decisione relativa a dove costruire una centrale o un deposito di scorie, contro la volontà dei territori. Poiché questo problema riguarda soprattutto la Pianura Padana, perché c’è un solo fiume, in Italia, che regge il volume d’acqua necessario a raffreddare una centrale nucleare di terza generazione, lo dico serenamente, ponetevi questo problema, perché è lì che il Governo insisterà
[…] Noi riteniamo che un grande Paese industrializzato come l’Italia debba avere una Agenzia nucleare degna di questo nome. Anzi, riteniamo che sia insufficiente quanto è stato fatto per dargli mezzi e strumenti. Al tempo stesso, riteniamo che la strada imboccata (penso, ad esempio, alla possibilità per il Governo di decidere contro il parere degli enti locali e delle regioni e con una militarizzazione del territorio il luogo dove collocare centrali nucleari e siti) sia unica in un Paese occidentale, sbagliata e da combattere.

DOMENICO SCILIPOTI..
Come ho detto ieri in quest’Aula, il nucleare di seconda e terza generazione è ad altissimo rischio per la vita umana: è stato dimostrato, non lo sostengo solo io. Non ascoltate quello che dice il parlamentare Scilipoti, consultatevi con il Ministero della salute, con gli studi sull’argomento, prendete veramente coscienza per rendervi conto che il nucleare di seconda e terza generazione è ad alto rischio di vita, che non può essere messa in discussione di fronte alla produttività, di fronte ad un interesse che non è supremo e vitale per il Paese, quello di introdurre il nucleare, il 18 per cento dell’energia.
Ieri ho citato statistiche (che invito ognuno di voi ad andare a vedere) pubblicate in America dal Centro di ricerche dell’istituto di oncologia, che attestano che nei luoghi vicini alle centrali nucleari vi sono 19 mila persone affette non solo da malattie neoplastiche, ma anche da malattie degenerative, ossia che convivono con la malattia per vent’anni, soffrendo giorno dopo giorno e facendo soffrire anche i parenti, gli amici e tutti coloro che stanno loro accanto.
[…] tutti parliamo di federalismo, tutti parliamo un linguaggio che dovrebbe essere chiaro, però il Governo può anche non tenere in giusta considerazione quanto viene deliberato dalle regioni o dai comuni, così da sopprimere completamente la volontà del popolo circa il luogo dove dovrebbe essere realizzata una centrale nucleare
[…] Intendo chiedere, con molta serenità, al Ministro presente in Aula se è vero o non è vero che il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali ha avviato un’indagine conoscitiva per quanto riguarda l’impianto nucleare del Garigliano, che quattordici sindaci della zona hanno firmato un documento gravissimo, invitando il Ministero ad intervenire e che quest’ultimo ha creato una commissione ad hoc per verificare se effettivamente esiste una relazione con l’elevato numero di casi tumorali registrati tra gli abitanti della zona.
[…] il nucleare – in modo particolare l’uranio – viene utilizzato per ridurre tre sostanze altamente tossiche, presenti all’interno dell’atmosfera: il biossido di carbonio, il metano e il protossido di azoto.
Tuttavia, guarda caso, nella trasformazione, nell’estrazione e nel trasporto dell’uranio si produce una sostanza che si chiama biossido di carbonio (CO2). Ma non è questo ciò che volevo sottolineare, onorevoli colleghi. Vorrei sottolineare il fatto che si parla di seconda e di terza  generazione, ma quali sono i reattori che vengono utilizzati nella seconda e terza generazione? Sono i reattori ad acqua bollente e quelli ad acqua pressurizzata, vale a dire i reattori che rilasciano tantissime scorie, nocive per la salute.

FEDERICO TESTA.
[…]  Se il progetto di rientro, così com’è stato illustrato ai giornali, prevede che il 25 per cento di energia venga prodotto da fonti rinnovabili, il 25 per cento dal nucleare, e il 50 per cento da fonti fossili, quanti rigassificatori ci serviranno? Inoltre, riusciremo ad assorbire tutta la produzione di cicli combinati e contemporaneamente a dare vita a questi nuovi progetti? Da questo punto di vista avere le idee più chiare su quelle che saranno l’offerta e la domanda di energia nel nostro Paese non sarebbe stato un male.
[…] Personalmente credo che le tipologie degli impianti dovrebbero essere lasciate alla libera determinazione degli operatori in una griglia fissata dal potere politico, che invece dovrebbe determinare i requisiti minimali perché siano garantite sicurezza, efficienza e quant’altro.
Inoltre, se si vuole affrontare organicamente il tema dell’energia non si può non affrontare il nucleare insieme al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili. Sono tre leve importanti, che vanno mosse in maniera coordinata e non a scapito l’una dell’altra. Su questo aspetto francamente nel provvedimento in discussione non vi sono segnali che convincono fino in fondo, ed anzi vi è qualche segnale rispetto al quale esprimeremo la nostra decisa contrarietà.
Infine, rientrare davvero nel nucleare significa chiedere agli operatori di effettuare grandi investimenti con periodi di pay back ed orizzonti temporali molto lunghi. Da questo punto di vista diventano fondamentali le garanzie che vengono date sull’organicità del progetto e sulla credibilità e condivisione dello stesso.
Così anche il balletto cui abbiamo assistito tra Ministeri sulla composizione dell’Agenzia nonché le scelte di commissariamento, a prescindere, degli enti che ad oggi si occupano del nucleare (Sogin ed ENEA) danno più l’idea di una lotta per il potere che non della percezione effettiva della partita che si vuole giocare, per non parlare poi del finanziamento dedicato all’Agenzia, che è del tutto inadeguato.
Il tema dell’autorevolezza è fondamentale affinché il rientro nel nucleare sia accettato e condiviso dai cittadini, i quali devono essere coinvolti e rassicurati di fronte ad una scelta che presenta ancora per molti forti margini di rischio e di paura, magari immotivata ma comunque da prendere in considerazione.
A tal proposito, sono necessari certamente il rafforzamento e la terzietà dell’Agenzia. Tale carattere è necessario perché questa possa essere vissuta come soggetto realmente super partes che ha a cuore prima di tutto gli interessi della collettività.
Sono poi necessari forti investimenti in comunicazione ed informazione, piuttosto che lasciar trasparire l’intenzione di militarizzazione dei siti, che invece devono essere aperti proprio perché i cittadini possano capire che in quelle sedi non vi è niente di cui preoccuparsi.
In questo quadro sono quindi indispensabili azioni concrete che dimostrino come, al di là degli annunci, vi sia la capacità di porre in essere misure precise e, in primo luogo, l’individuazione del deposito di superficie e il proseguimento del lavoro di decommissioning […] L’obiettivo non è quello di negare la sussistenza di altre tecnologie produttive, ma di inserire nel provvedimento l’auspicio che si lavori comunque per risolvere quelli che sono certamente due dei problemi principali dell’attuale tecnologia nucleare, che sono la produzione di scorie tossiche e un utilizzo molto basso del materiale uranifero, tanto che questo può comportare nel lungo periodo anche problemi di scarsità dello stesso.

[.]lasciare al Governo la scelta delle tipologie degli impianti significa che il potere pubblico, politico, deciderà quali saranno, tra le varie tecnologie possibili che possono essere utilizzate da chi costruirà e gestirà centrali nucleari, le opzioni migliori.
Invece, noi crediamo che le tipologie vadano scelte dagli operatori che si candideranno, se ciò avverrà, alla costruzione e alla gestione di centrali nucleari. Da questo punto di vista, ipotizzare che le tipologie siano scelte dal potere politico significa prevedere che sia la politica – e non il mercato – a decidere le modalità migliori di produzione di energia, le più economiche per la produzione di energia nucleare.

NUNZIO FRANCESCO TESTA. Signor Presidente, mi sfugge il motivo per cui il Governo si ostini a non richiedere il parere dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, posto che una delle funzioni precipue dell’Agenzia è il controllo della certificazione. Siccome stiamo parlando di una previsione per la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia e di impianti per la messa in sicurezza, ritengo che questa sia una delle precipue funzioni dell’Agenzia.

ADOLFO URSO, Sottosegretario per lo sviluppo economico. Signor Presidente, intervengo, in merito all’osservazione del collega Lulli, solo per chiarire doverosamente all’Assemblea che, come abbiamo detto in Commissione, questo punto specifico della delega non vuole assolutamente prevedere la militarizzazione dei siti, ma, invece, è volto necessariamente a specificare le varie forme di vigilanza e di protezione per un’assoluta protezione, fisica e passiva, richiesta dagli standard internazionali, dall’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di nucleare, anche, ovviamente, in merito a possibili forme di protezione antintrusione e antiterrorismo.

LUDOVICO VICO.
I commi 6 e 7 riguardano la Sogin Spa, il suo commissariamento e la sua nuova mission. Mi chiedo – e chiedo soprattutto al Governo – perché nel nostro Paese, benché l’opzione nucleare sia stata abbandonata fin dal 1987, il decommissioning non sia stato mai avviato. Si può dire così, ma è così. Infatti, esso è ancora da avviare nelle centrali di Latina, di Trino Vercellese, di Caorso, del Garigliano, nei centri di stoccaggio di Casaccia, di Bosco Marengo, di Saluggia e di Rotondella. In quello di Saluggia si dovrà ricorrere alla cementazione dei rifiuti liquidi, una volta trasferiti dai vecchi ai nuovi serbatoi. In sostanza, a ventuno anni da quel referendum che abrogò l’opzione nucleare, si è affidata alla Sogin Spa una mission che fondamentalmente non è mai cominciata. Ora essa viene commissariata affidandole nuovi ruoli che non saranno noti fino a quando la delega sarà stata espletata. Ma quando parliamo della mission e del decommissioning della Sogin Spa, stiamo parlando sostanzialmente del fatto che bisognava già allestire anche il sito nazionale temporaneo di deposito delle scorie. Onorevoli colleghi, quando parliamo del nostro Paese e del volume delle scorie, stiamo parlando modestamente di 8 mila metri cubi di scorie ad alta pericolosità, vale a dire di una quantità irrisoria rispetto a Paesi europei come la Francia, di cui tanto parliamo, e la stessa Germania.
Non va dimenticato anche che lo smantellamento dei quattro impianti di Latina, Trino, Caorso e Liri-Garigliano ha un costo, che al Parlamento italiano e ai Governi che si sono succeduti è noto. È un costo che l’Agenzia internazionale per l’energia e la Sogin Spa, in sede di indagine nella X Commissione, hanno quantificato in 3 miliardi di dollari.

RAFFAELLO VIGNALI.
[…] in ogni Paese che si è dotato della produzione di energia nucleare esiste un’agenzia indipendente, governativa ma indipendente, che ha il compito di vigilare sulla sicurezza della produzione, dei siti e dello stoccaggio dei rifiuti. Questo è un tema importante, in quanto il nucleare – come tutti ben sappiamo – a suo tempo è stato sottoposto a referendum.
Quindi, credo sia importante su questo articolo – e mi permetto di fare un appello anche all’opposizione – svolgere un dibattito sereno, perché questa Agenzia evidentemente ha il compito non soltanto di vigilare sulla sicurezza della produzione dei siti, ma ha anche quello di rassicurare la popolazione sulla sicurezza del nucleare.

ELISABETTA ZAMPARUTTI.
[…] Non possiamo che opporci ad una scelta di politica industriale compiuta in modo ideologico, perché prescinde da un serio esame dei costi e dei benefici per il Paese e che, anziché derivare dalla definizione di una strategia energetica nazionale – come opportunamente era stato affermato all’inizio -, in realtà condiziona la strategia stessa e vuole ridurre il dibattito e le consultazioni che la accompagneranno ad un inutile esercizio retorico.
Per noi continua a mancare, anche in questa maggioranza, la capacità di svolgere un’azione di Governo, vale a dire la capacità di compiere scelte strategiche prevedendo e considerando sempre tutte le alternative possibili. Tale esercizio porterebbe oggi a compiere altre scelte, che consentirebbero al nostro Paese, che è tra gli ultimi per despecializzazione tecnologica in Europa, di risalire questa china, nella consapevolezza che la partita energetica si gioca sulle nuove tecnologie e non sul nucleare di terza generazione, che è una tecnologia vecchia, superata e bocciata dal mercato.
Vi è ancora una ragione di contrarietà alla scelta che ci proponete attinente all’Agenzia per la sicurezza nucleare. L’Agenzia che ci proponete è, nel migliore dei casi, un inutile rimescolamento di carte, che sottrae risorse attualmente dedicate ad una struttura consolidata e funzionante – mi riferisco a quella esistente presso l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – per destinarla ad un consiglio di amministrazione di cui, francamente, non si sente alcun bisogno.
L’Agenzia che ci proponete, poi, è un’involuzione rispetto a quella prevista dalla legge n. 61 del 1994, che, a seguito di quesiti referendari, istituiva il sistema dei controlli ambientali e che risolveva, dopo quasi vent’anni di polemiche, la questione della convivenza delle funzioni di controllo del nucleare con quelle di promozione, ricerca e sviluppo in un medesimo soggetto, che ora ci riproponete.

Written by sistemielettorali

2 dicembre 2009 at 11:19