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I Fondi Pensione

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Il fondo pensione, nell’ordinamento giuridico italiano, è uno strumento tecnico (appartenenti al cosiddetto sistema pensionistico privato in Italia) individuato dal legislatore al fine di garantire ai lavoratori una pensione complementare, da affiancare a quella che spetterebbe ai sensi di legge erogata dagli enti previdenziali obbligatori, detta invece previdenza di primo pilastro.

Essi si possono trovare anche in altri ordinamenti e, in inglese, si chiamano pension fund.

Storia

In Italia in passato tali fondi erano principalmente legati a specifiche categorie, come le banche e le assicurazioni, o a singole aziende che introducevano esperienze già realizzate in altri Paesi.

La prima normativa in materia di previdenza complementare è contenuta nel decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124. La materia è stata poi riformata dal decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 che ha abrogato il precedente d.lgs 124/1993, fatto salvo per quanto previsto dall’art. 23, 5º comma, dello stesso d.lgs.

La riforma della previdenza complementare non ha però finora trovato applicazione per il settore del pubblico impiego, a causa del mancato esercizio da parte del governo della delega prevista nella legge 23 agosto 2004 n. 243. Il decreto del 2005 (art. 23 comma 6) prevedeva infatti che ai Fondi pensione rivolti al personale dipendente della pubblica amministrazione italiana di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 che aderisce alle forme pensionistiche negoziali destinate al pubblico impiego, sia applicata la precedente normativa contenuta nel d.lgs. 124/1993.

Caratteristiche

Tramite un fondo pensione il lavoratore accantona dunque una quota dei propri guadagni realizzati durante la vita lavorativa allo scopo di garantire prestazioni pensionistiche aggiuntive (pensione integrativa) rispetto a quelle erogate dagli enti previdenziali obbligatori. Si distinguono dagli enti previdenziali che gestiscono i sistemi pensionistici obbligatori in un quadro normativo di diritto pubblico ove i rapporti giuridici sono determinati dalle leggi dello Stato e non su base volontaria e che finanziariamente sono gestiti sistema pensionistico senza patrimonio di previdenza con il rischio politico a carico dei cittadini obbligati.

I fondi pensione sono regolati da norme di diritto privato che regolano i rapporti giuridici di natura volontaria, tra i fondi stessi e gli aderenti a vario titolo. Finanziariamente sono gestiti secondo il principio della capitalizzazione integrale dei versamenti con il rischio economico a carico degli aderenti. L’ammontare delle prestazioni previdenziali dipenderà pertanto dai contributi versati, dal periodo di permanenza nel fondo e dal rendimento ottenuto dall’investimento del patrimonio.

Finanziamento

Le fonti di finanziamento dei fondi pensione si differenziano a seconda della tipologia di aderente (lavoratore dipendente, lavoratore autonomo e soggetti differenti dalle prime due tipologie). Per i lavoratori dipendenti le fonti contributive sono rappresentate da:

  • contribuzione del lavoratore;
  • contribuzione del datore di lavoro (o committente)
  • il versamento del trattamento di fine rapporto (Tfr).

Nell’ambito della libera determinazione dei contributi da versare al Fondo, la legge consente che la determinazione del contributo minimo da versare a carico del lavoratore e a carico del datore di lavoro (o committente) avvenga in base ad accordi collettivi o aziendali. Anche in assenza di detti accordi sia il lavoratore sia il datore di lavoro (o committente) possono liberamente versare al Fondo. Nel caso dei lavoratori autonomi la sola fonte di finanziamento è rappresentata dal contributo dell’aderente.

Al fine di incentivare l’adesione ai fondi pensione la normativa prevede l’applicazione di un regime fiscale agevolato per i versamenti alla previdenza complementare. Il Tfr affluisce al fondo pensione senza subire alcuna tassazione, allo stesso modo ma solo la contribuzione del lavoratore è deducibile dal reddito mentre anche la contribuzione del datore di lavoro serve per determinare l’ammontare massimo deducibile. La deducibilità si applica fino a un limite massimo di 5.164,57 Euro (10 milioni di lire). È stato eliminato rispetto al precedente regime il limite percentuale pari al 12% del reddito imponibile.

Investimenti finanziari

Le risorse raccolte dai fondi pensione vengono investite nei mercati finanziari al fine di produrre un rendimento che va ad aggiungersi alla contribuzione tempo per tempo versata nelle posizioni individuali. Essi sono quindi gestiti secondo il sistema tecnico finanziario della capitalizzazione.

Il fondo non è tenuto in questo senso a fare investimenti che tutelino il capitale, garantendo un interesse positivo, per quanto basso, come titoli di Stato oppure obbligazioni.

Questa impostazione degli investimenti su un profilo medio-alto di rischio-rendimento deriva dalla normativa italiana, oltreché da scelte del singolo gestore di fondi.

In data 13 novembre 2014 è stato pubblicato in gazzetta ufficiale il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze n. 166 del 2 settembre 2014 (“Regolamento recante norme sui criteri e sui limiti di investimento delle risorse dei fondi di pensione e sulle regole in materia di conflitto di interessi”, di seguito “DM 166/2014”) attuativo dell’articolo 6, comma 5-bis del decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005, che ridisegna la disciplina in materia di limiti agli investimenti e conflitti d’interesse dei fondi pensione sulla base dei principi guida fissati dal medesimo decreto 253/2005.

L’emanazione di tale decreto porta a compimento un lungo processo di riforma volto a superare l’articolato del Ministro del Tesoro n. 703 del 21 novembre 1996 (“Regolamento recante norme sui criteri e sui limiti di investimento delle risorse dei fondi di pensione e sulle regole in materia di conflitto di interessi”, di seguito “DM 703/1996”), per quasi un ventennio, indiscusso punto di riferimento in materia di investimenti delle risorse dei fondi pensione.

Il nuovo DM 166/2014 innova il precedente quadro normativo introducendo nuove regole che mirano a garantire una maggiore flessibilità nella gestione delle risorse dei fondi pensione, pur nel rispetto di una prudente politica di gestione.

I limiti della regolamentazione del DM 703/1996, incentrata principalmente su restrizioni e vincoli quantitativi, sono emersi in maniera sempre più incisiva nel corso degli anni sulla spinta di diversi impulsi e fattori.

Dapprima il processo di riforma della previdenza complementare e il recepimento nel nostro ordinamento della direttiva europea sui fondi pensione (direttiva 2003/41/CE, c.d. Direttiva EPAP) hanno imposto di guardare all’esperienza di altri Paesi europei (e non) e di avviare una prima riflessione sulle linee guida e i principi di fondo di una nuova regolamentazione.

L’evoluzione della regolamentazione dei mercati finanziari, in parte accelerata dal manifestarsi e dal perdurare della crisi economica, ha contribuito poi a creare un ambiente favorevole ad una revisione complessiva della disciplina vigente relativa agli investimenti dei fondi pensioni e per il passaggio ad un approccio di tipo qualitativo in grado di valorizzare (e non solo circoscrivere) il riscorso a nuove e diversificate tipologie di investimenti. E’ sufficiente, al riguardo, solo accennare alle opportunità introdotte dalla direttiva 2011/61/UE (c.d. “Direttiva AIFMD”) in tema di investimenti in fondi alternativi ovvero alle maggiori tutele derivanti del Regolamento EMIR con riguardo ad operazioni in strumenti derivati OTC.

Ad imprimere un significativo impulso nella direzione di un rinnovato quadro regolamentare, da ultimo, rilevano le recenti misure volte a favorire la crescita e la ripresa economica. Nell’ambito di tali interventi legislativi è stato, infatti, chiarito come l’investimento da parte dei fondi pensione in c.d. minibond e in fondi di investimento che investono prevalentemente in tali strumenti di debito risulti compatibile con le disposizioni in materia di limiti di investimento. Non parrebbe, dunque, una forzatura leggere un siffatto intervento come espressione di una maggiore apertura del legislatore all’ipotesi in cui i fondi pensioni (e i loro gestori) abbiano in maggior conto, nel definire la relativa politica di investimento così come nell’effettuare le singole operazioni di investimento, esigenze di investimento più concrete e legate a iniziative volta a favorire la necessità di credito per le imprese italiane.

La riflessione circa l’opportunità di rivedere le regole di cui al DM 703/1996 nell’ottica di prediligere un approccio volto ad accrescere la responsabilità dei fondi pensione e la miglior capacità di gestione e controllo dei rischi da parte di questi ultimi, è stata avviata all’indomani dell’emanazione del decreto legislativo n. 28 del 6 febbraio 2007, attuativo della Direttiva EPAP.

A dare avvio al processo di riforma del DM 703/1996, sul finire del 2007, un documento di consultazione dell’allora Ministero del Tesoro che individuava le possibili linee di revisione della disciplina, sottoponendo al mercato una serie di quesiti finalizzati all’elaborazione di un primo schema di “nuovo 703”, capace di tener conto delle istanze del mercato e degli operatori. A tale documento è poi seguito (nel maggio del 2012) una seconda fase di consultazione su uno schema di decreto ministeriale che sotto diversi aspetti già ricalcava la struttura e il tenore del DM 166/2014[9].

E’ lo stesso regolatore che, già nel documento di consultazione del 2007, riconosceva senza remore come l’esperienza decennale maturata nell’applicazione del DM 703/1996 – decreto apostrofato in tale occasione come “obsoleto” a fronte dell’evoluzione dei mercati finanziari – avesse dimostrato l’inefficacia di talune previsioni poste a tutela degli iscritti a fronte dei rischi finanziari derivanti dalla gestione delle risorse dei fondi pensione.

Il documento di consultazione del 2007 individuava poi i principi e le linee guida del processo di riforma nonché i criteri generali di gestione e i presidi per i fondi pensione da implementare in un’ottica di revisione del DM 703/1996. Tali principi hanno mantenuto la loro centralità anche nel corso delle successive fasi di pubblica consultazioni, nei relativi schemi di decreto e nel disposto finale del DM 166/2014.

Il principio di prudenza (ovvero anche della “persona prudente”) rappresenta senza dubbio il cardine della nuova disciplina dei limiti agli investimenti dei fondi pensione. Tale principio, espresso dall’art.18 della Direttiva EPAP, si declina in primo luogo come criterio di responsabilizzazione dei fondi pensione che – proprio in virtù delle finalità della raccolta del risparmio previdenziale – sono chiamati a definire e implementare scelte di investimento coerenti da un punto di vista della prudente gestione oltre che a rendere conto agli iscritti di tali scelte.

Emerge dunque come il perseguimento di finalità di protezione degli interessi degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni non possa prescindere da un processo volto a intervenire sulle strutture organizzative e professionali di ciascun fondo pensione e, in particolare, sui processi decisionali relativi agli investimenti, da sviluppare in coerenza con la politica di investimento adottata dalla forma pensionistica.

L’adozione di un simile modello, tendente all’allargamento delle opzioni di investimento e all’attribuzione ai fondi pensione di un maggior grado di libertà nel determinare le scelte gestionali, verrebbe compensato, dunque, nelle intenzioni del regolatore, da un miglioramento dei processi di comprensione, controllo e gestione continua da parte di ciascun fondo di tutti i rischi cui sarebbe esposto nell’amministrazione delle risorse oltre che da una più puntuale individuazione delle relative responsabilità.

Tali linee guida del processo di riforma avviato nel 2007 sono stati fatti propri e recepiti dall’articolo 3 del nuovo DM 166/2014 (che ricalca nei contenuti l’articolo 3 dello schema di regolamento posto in consultazione nel 2012).

In particolare tale disposizione – dopo aver ribadito che i fondi pensioni sono chiamati a perseguire, nel rispetto del principio della sana e prudente gestione, l’interesse degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni pensionistiche – individua i principali criteri da osservare nella gestione delle relative disponibilità (tra cui ottimizzazione della combinazione redditività-rischio, diversificazione del portafoglio, ottimizzazione dei risultati a fronte del contenimento dei costi di transazione, di gestione e di funzionamento) e sottolinea la necessità di adottare strategie di investimento coerenti con il profilo di rischio e con la struttura temporale delle passività detenute.

Allo stesso tempo, il menzionato articolo 3 del DM interviene sul piano dell’assetto organizzativo, richiedendo espressamente l’adozione di procedure e di strutture organizzative professionali e tecniche adeguate alla dimensione e alla complessità del portafoglio, alla politica di investimento, ai rischi assunti nella gestione, alla modalità di gestione diretta e/o indiretta ed alla percentuale di investimenti effettuati in strumenti non negoziati nei mercati regolamentatiadottando processi e strategie di investimento adeguati alle proprie caratteristiche e per i quali sia in grado di istituire, applicare e mantenere congruenti politiche e procedure di monitoraggio, gestione e controllo del rischio.

Va notato, per inciso, come la formulazione di tale disposizione sembrerebbe ispirata da un principio di proporzionalità già noto al nostro ordinamento finanziario e consentirebbe di parametrare le misure da implementare in relazione (non tanto alla struttura o tipologia di fondo pensione) quanto alla dimensione e complessità dei portafogli effettivamente gestiti, avendo particolare riguardo ai presidi da implementare qualora si intendano impiegare risorse in investimenti alternativi.

Gli attuali limiti agli investimenti previsti dal DM 703/1996 si fondano – oltre che su differenziazioni per tipologie di emittenti (in particolare se residenti in paesi OCSE o meno) e di strumenti finanziari – sull’assunto che i soli mercati regolamentati dell’Unione europea, degli Stati Uniti, del Canada e del Giappone siano effettivamente idonei a garantire un livello sufficiente di affidabilità e liquidità e, quindi, a contenere il rischio di investimento delle risorse riferibili al risparmio previdenziale. Diversamente i titoli non negoziati ovvero i titoli negoziati in altri mercati diversi da quelli menzionati non presenterebbero le medesime tutele e, pertanto, dovrebbero essere fortemente limitati ovvero del tutto preclusi se l’emittente non è residente in Paesi OCSE. Su tali basi il DM 703/1996 individua per ciascuna asset class le note percentuali massime detenibili da parte dei fondi pensione.

Con il DM 166/2014 è evidente il cambio di prospettiva. Perseguendo l’obiettivo dichiarato di garantire una maggiore flessibilità e semplificazione seppur nel rispetto dei limiti della prudente gestione del fondo pensione, il nuovo decreto ministeriale fa venir meno molte delle precedenti restrizioni ora sostituite da vincoli di natura qualitativa (ad esempio è previsto che il fondo pensione debba investire in misura prevalente in strumenti finanziari e che presentino un basso grado di rischio, prediligendo gli emittenti di Paesi a minor rischio).

Quanto alle limitazioni quantitative previste dal DM 166/2014, viene introdotto un nuovo limite del 30% delle disponibilità complessive del fondo pensione per gli investimenti in titoli non negoziati e quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) alternativi (FIA); con specifico riferimento agli investimenti in FIA, è previsto l’ulteriore limite del 20% delle disponibilità complessive del fondo pensione e del 25% del valore del FIA.

Il DM 166/2014 rivede anche i limiti di concentrazione riferibili a ciascun emittente prevedendo un limite del 5%, salvo alcune deroghe espresse nel caso di determinati tipologie di fondi alternativi (indicate al successivo paragrafo) e di titoli sovrani di paesi OCSE come indicato in dettaglio all’art. 5, comma 3, del DM 166/2014.

Seguendo tale impostazione il DM 166/2014 circoscrive il margine operativo dei fondi pensione in investimenti alternativi. Pur non ricomprendendo in una definizione unitaria (cui far seguire un regime uniforme di restrizioni e limiti) tali categorie di investimenti, il decreto ministeriale traccia una linea immaginaria di demarcazione tra strumenti negoziati (minimo 70% del disponibilità complessive del fondo pensione) e strumenti non negoziati in mercati regolamentati (massimo 30% del disponibilità complessive del fondo pensione); per poi far rientrare nella categoria degli strumenti negoziati (prescindendo però dall’effettiva quotazione) anche gli OICR armonizzati ai sensi della direttiva 85/611/CEE (“OICVM”) e i depositi bancari, mentre nella categoria degli strumenti non quotati verrebbero ricondotti, come anticipato, gli OICR alternativi (FIA).

In altri termini il DM 166/2014 individuerebbe due macro-classi di investimenti: (i) una prima composta da attivi prontamente liquidabili e la cui affidabilità deriverebbe dallo status di emittente quotato e (ii) una seconda composta da asset di non pronto smobilizzo e da quote di fondi alternativi nei limiti consentiti dallo stesso DM 166/2014. A tale ultima macro categoria occorrerà dunque riferirsi nel valutare la possibilità di porre in essere singoli investimenti c.d. alternativi.

Alcune riflessioni più di dettaglio necessitano di essere svolte con riguardo alla possibilità di investimento da parte di fondi pensione in organismi di investimento collettivo del risparmio.

Il rischio che tali investimenti possano rappresentare uno schermo per superare le limitazioni e i vincoli all’impiego delle risorse dei fondi pensione, ha indotto il regolatore e le Autorità di vigilanza, nel corso degli anni, a porre in essere e implementare specifiche forme di tutela e presidi.

L’approccio del DM 703/1996 è stato quello di consentire l’investimento in fondi d’investimento “affidabili” e con strutture chiare e lineari: nello specifico in OICVM disciplinati dal diritto italiano o autorizzati all’offerta in Italia nonché in fondi chiusi entro determinati limiti. La COVIP con comunicazione del 2009 richiedeva poi ai fondi pensione di assicurarsi che la politica di investimento del fondo target prescelto fosse coerente con la politica e i limiti di investimento applicabili in caso di investimento diretto da parte del medesimo fondo pensione (in applicazione di un generale principio di “look through”).

Con l’emanazione del DM 166/2014 le disposizioni circa gli investimenti dei fondi pensione in OICR hanno assunto connotati più puntuali e sono stati rivisti anche alla luce della Direttiva AIFMD. Allo stesso tempo anche il principio del look through sembrerebbe aver trovato espressa definizione regolamentare.

In particolare il comma 4 dell’art. 5 del DM 166/2014 completa le disposizioni sulle tipologie di organismi di investimento ammissibili e detta le condizioni cui è subordinato l’investimento in OICR.

Sempre con riferimento agli investimenti in OICR, è opportuno sottolineare, infine, come il DM 166/2014 abbia previsto una deroga espresse ai limiti di concentrazione proprio. In tal senso, il DM 166/2014 all’articolo 5, comma 3 stabilisce che i limiti di concentrazione per singolo emittente e per gruppo non trovano applicazione nel caso di investimenti in quote o azioni di OICVM, FIA italiani diversi da quelli riservati, FIA UE e non UE autorizzati alla commercializzazione in Italia ai sensi dell’articolo 44, comma 5, del Testo Unico della Finanza.

A completamento delle previsioni in materia di investimenti dei fondi pensione in OICR rilevano ulteriori previsioni volte ad assicurare una più ampia consapevolezza in capo al fondo pensione circa l’opportunità di investire in OICR. In particolare il fondo pensione sarà tenuto ai sensi del DM 166/2014 a motivare una la scelta di investire in OICR avendo riguardo sia alle caratteristiche dimensionali del fondo che alla politica di investimento adottata, evidenziando come tale investimento debba corrispondere a criteri di efficienza ed efficacia.

Con riferimento al principio di look through, il DM 166/2014 richiede ai fondi pensione di assicurarsi che la politica di investimento degli OICR sia compatibile con quella del fondo pensione e nello specifico di essere in grado di monitorare il rischio relativo a ciascun OICR al fine di garantire il rispetto dei principi e dei criteri stabiliti nel DM 166/2014 per il portafoglio nel suo complesso; è infine richiesto di accertare che l’investimento in OICR non sia potenzialmente in grado di generare una concentrazione del rischio incompatibile con i parametri di riferimento scelti dal fondo pensione. Quale condizione di natura genarle è inoltre richiesto che l’investimento in OICR non dia luogo a oneri aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal fondo pensione e comunicati agli aderenti.

Quanto precede appare sufficiente per notare come le previsioni relative agli investimenti in OICR rappresentino uno degli elementi di maggiore novità della nuova disciplina.

Pur non potendo non rilevare la frammentarietà di tali previsioni nel corpo del DM 166/2014 oltre che la poca chiarezza di talune espressioni utilizzate, va valutato positivamente sforzo di tale nuova regolamentazione nel cercare di cogliere i benefici derivanti dall’implementazione della Direttiva AIFM, che mira a migliorare le regole di condotta, trasparenza e in generale di vigilanza applicabili ai gestori che offrono e strutturano organismi di investimento alternativi.

Alla Direttiva AIFM va riconosciuto, tra le altre cose, il merito di favorire una più ampia offerta di prodotti tendenti ad una maggiore personalizzazione (ad es. in tema di governance e/o di diritti degli investitori) che, pertanto, potrebbero risultare idonei per rispondere alle esigenze degli investitori più sofisticati e attenti, tra i quali potrebbero rientrare anche i fondi pensione.

Alcune perplessità circa l’effettiva possibilità di poter beneficiare appieno dell’investimento in OICR per veicolare l’eventuale componente di investimenti alternativi permarrebbero tuttavia in relazione alla formulazione dei limiti di concentrazione anche tenuto conto della necessità di applicare gli stessi a livello di singolo comparto del fondo pensione. L’articolo 5, comma 9 del DM 166/2014 richiede, infatti, che laddove il fondo pensione sia strutturato in una pluralità di comparti, i limiti e i criteri di investimento (incluso dunque il limite 20% delle disponibilità complessive del fondo pensione e del 25% del valore del FIA) trovino applicazione in relazione alle disponibilità del singolo comparto. In tal senso, alcune ulteriori limitazioni potrebbero di fatto sorgere nel caso di investimenti in fondi alternativi da parte di fondi pensione o comparti con patrimoni esigui. Allo stesso tempo i limiti di concentrazione potrebbero essere d’ostacolo nell’investimento in fondi alternativi che non beneficerebbero dell’esenzione di cui all’articolo 5, comma 3, del DM 166/2014.

Con riferimento all’operatività in derivati ci si limiterà in questa sede ad osservare come la nuova regolamentazione prevista dal DM 166/2014, consenta ai fondi pensione di investire le proprie disponibilità in strumenti finanziari derivati “per finalità di riduzione del rischio e di efficiente gestione”. Tale espressione lascerebbe dunque margini operativi più ampi rispetto alla precedente formulazione del DM 703/1996 che, di fatto, circoscriveva l’operatività in derivati alle sole operazioni indicate dal medesimo decreto aventi finalità di copertura.

L’utilizzo di derivati alla luce del nuovo DM 166/2014 dovrà, ad ogni modo, essere adeguatamente motivato dal fondo pensione in relazione alle proprie caratteristiche dimensionali, alla politica di investimento adottata e alle esigenze degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni pensionistiche.

Con particolare riferimento all’utilizzo di derivati OTC, il DM 166/2014 prevede che il fondo pensione valuti in ogni momento tutti i rischi connessi con l’operatività in derivati e monitori costantemente l’esposizione generata da tali operazioni, stabilendo che i derivati non possono generare un’esposizione al rischio finanziario superiore a quella risultante da un acquisto a pronti degli strumenti finanziari sottostanti il contratto derivato. Permane, invece, il divieto di vendite allo scoperto e di operazioni in derivati equivalenti a vendite allo scoperto.

L’aver ripercorso le diverse disposizioni del DM 166/2014 in tema di investimenti alternativi consente di apprezzare lo sforzo del regolatore nel cercare di creare una base regolamentare comune entro cui i fondi pensione possano sviluppare politiche di investimento contraddistinte da una maggiore flessibilità e strategie di portafoglio ottimali in termini di rischio/rendimento.

Si è avuto anche modo di osservare come l’adozione di un approccio meno rigido e restrittivo abbia quale necessaria contropartita quella di richiedere l’implementazione e il rafforzamento dei presidi organizzativi e di controllo. Disporre di professionalità e risorse così come di mezzi, strumenti e procedure atte a garantire l’effettiva conoscenza e gestione dei rischi inerenti gli investimenti rappresenterebbe, come già accennato, condizione imprescindibile della nuova regolamentazione per il passaggio ad un approccio “qualitativo” comunque capace di assicurare una sana e prudente gestione di ciascun fondo pensione nell’interesse degli aderenti e dei beneficiari delle prestazioni previdenziali.

Ciò posto, una prima valutazione circa l’efficacia delle soluzioni adottate dal DM 166/2014 rispetto agli obiettivi prefissati potrà essere effettuata solo al termine dell’anno previsto dalla disciplina transitoria e alla luce degli sforzi che i fondi pensione sapranno compiere per ripensare la propria organizzazione e governance, i processi decisionali nonché i rapporti con eventuali gestori esterni.

Per far ciò sarà quindi necessario rivedere procedure, regolamenti del fondo, convenzioni di gestione e qualsiasi documento utile alla luce di quanto richiesto dalla nuova regolamentazione. Quanto maggiore sarà il coinvolgimento dei fondi pensione nella gestione delle risorse, tanto più gli strumenti di self regulation che il fondo pensione intenderà implementare dovranno risultare idonei a definire e individuare internamente compiti e responsabilità in linea con le attese del DM 166/2014.

Al riguardo, va osservato come il DM 166/2014 in più passaggi richieda che le scelte legate agli investimenti siano adeguatamente motivate da parte del fondo pensione, sebbene non precisi in concreto le relative modalità. Sembrerebbe esservi dunque discrezionalità circa le forme più idonee da adottare in relazione alla struttura organizzativa del fondo e alle specifiche modalità tecniche di gestione delle risorse finanziarie implementate.

Allo stesso tempo, ampio margine discrezionale è lasciato al fondo pensione che intende ricorrere ad un gestore esterno nel definire le modifiche e le integrazioni alle relative convenzioni necessarie in un’ottica di adeguamento al nuovo regolamento.

Da ultimo, occorre ricordare come previsioni analoghe a quelle previste dal DM 166/2014 per la gestione delle risorse dei fondi pensione siano state proposte anche in relazione agli investimenti delle risorse finanziarie degli Enti previdenziali privatizzati e di quelli privati. Anche in tal caso, acquisirà importanza centrale la capacità di tali soggetti di dare rilievo e implementare l capacità gestionali, di controllo e ai relativi processi decisionali in particolar modo nell’ipotesi di investimenti di tipo alternativo.

Prestazioni e Anticipazioni

La prestazione tipica di un fondo pensione è l’erogazione di una rendita (pensione) all’iscritto a partire dal momento del pensionamento. La rendita è di prassi di tipo vitalizio, cioè calcolata al momento dell’erogazione e pagata finché l’aderente è in vita, a prescindere dall’eventuale esaurimento del capitale. È comunque consentita la facoltà di optare per una liquidazione in capitale (soluzione unica) per un importo che non ecceda il 50% del montante finale accumulato. In alcuni casi specifici (ad esempio montante finale non significativo, rendita ottenibile dal 75% del montante minore della metà della pensione sociale) è consentita una liquidazione del 100% in capitale.

Per garantire flessibilità al sistema sono previste ulteriori forme di anticipazioni che scattano al verificarsi di precisi eventi o di esigenze che possono verificarsi negli anni di permanenza nel fondo pensione:

  • in caso di acquisto di prima casa per sé o per i figli o per ristrutturazioni (dopo 8 anni di partecipazione), ovvero per spese mediche straordinarie (in qualsiasi momento) può essere richiesto un anticipo fino al 75% di quanto accumulato;
  • è possibile chiedere un’anticipazione sino al 30% per ulteriori esigenze senza obbligo di motivazione (dopo 8 anni di partecipazione)

Trasferimento

Prima del pensionamento, le quote sono trasferibili solamente da un fondo pensione a un altro (dopo due anni di partecipazione allo stesso fondo), a favore dello stesso beneficiario, non sono trasferibili all’INPS né ad altre persone.

Riscatto parziale o totale

Il D. Lgs. n. 252/2005 introduce e disciplina il riscatto parziale o totale dei fondi pensione. Ai sensi del decreto infatti devono essere previste forme e modalità. Prima del decreto, non era obbligatoria alcuna forma di riscatto.

  • in caso di cessazione dei requisiti di partecipazione (es. licenziamento o dimissioni dall’azienda) l’importo maturato può essere riscattato o trasferito ad altro fondo pensione; il riscatto e il trasferimento di quote si escludono a vicenda. In altre parole, se si opta per il riscatto, e si trova un altro impiego con lo stesso o diverso fondo di categoria, non si può reintegrare la quota maturata nel precedente impiego e si perde l’anzianità di iscrizione.
  • In caso di inoccupazione il capitale può essere parzialmente (dopo 12 mesi) o totalmente (dopo 48 mesi) riscattato;
  • in caso di morte o invalidità permanente dell’iscritto l’importo maturato può essere riscattato. In caso di decesso dagli eredi legittimi oppure, se indicato, dal beneficiario indicato dall’iscritto.

Reversibilità del trattamento pensionistico

La legge italiana non prevede la reversibilità obbligatoria della pensione complementare in caso di decesso del coniuge.

La reversibilità della pensione è prevista dal cosiddetto “diritto della vedova”, introdotta negli anni ottanta, ma vale solamente per la pensione INPS e delle Casse delle associazioni professionali e artigiani.

Per la previdenza complementare, la reversibilità del trattamento previdenziale risulta essere al 100% anziché al 60% come per l’INPS. Non è un diritto dei sottoscrittori, ma un’opzione che si paga in termini di una rendita minore al momento della pensione e/o maggiori contributi previdenziali. In questo caso la rendita vitalizia è calcolata sia sull’aderente che sulla persona da lui designata (es. coniuge) e continua ad essere pagata finché uno dei due è in vita.

In base al D. Lgs. n. 252 del 2005, è invece previsto il riscatto totale delle posizioni maturate a favore di eredi legittimi o testamentari e beneficiari designati, in caso di decesso dell’iscritto prima del pensionamento.

Tassazione e agevolazioni

Il legislatore ha previsto che i premi accantonati ai fondi pensione siano deducibili dall’imponibile IRPEF, annualmente fino a un massimo di 5.164,57 euro. Il rendimento dell’investimento in fondi pensione è tassato all’11% fino al 2013 e al 20% dal 2014 per la finanziaria 2015 (tranne la parte investita in titoli di stato tassata al 12,5%). Al momento del pensionamento bisogna distinguere il capitale versato e i rendimenti maturati. I rendimenti sono esenti, perché già tassati anno per anno; il capitale è imponibile, solamente per la parte dedotta, con un’aliquota massima del 15%, tale aliquota viene ridotta dello 0,3% per ogni anno di contribuzione oltre il quindicesimo fino al minimo del 9% (35 anni di contribuzione). Anche il TFR viene tassato con questa aliquota (15% -9%), inferiore a quella applicata in caso di TFR “lasciato in azienda” (minimo 23%).

Tipologia

Secondo la normativa prevista dalla legislazione italiana (decreto legislativo n. 252/2005), chi vuole una pensione integrativa può scegliere di aderire a un fondo, negoziale o aperto, o di sottoscrivere un PIP (acronimo di Piano Previdenziale Individuale) che è una vera e propria polizza assicurativa, pur potendo utilizzare la denominazione fondo pensione

  • Fondo pensione a contribuzione definita: è certa l’entità dei contributi, che è periodica e costante, ma non è certa l’entità della prestazione (il rischio cade sull’aderente); l’entità della prestazione dipenderà dalle performance di gestione del fondo.
  • Fondo pensione a prestazione definita: è certa l’entità della prestazione, ma l’entità dei contributi varia a seconda delle esigenze del gestore del fondo con riguardo agli obiettivi che intende perseguire (il rischio grava sul gestore del fondo).

Fondi pensione preesistenti

È la categoria più numerosa ed è formata dai fondi pensione già istituiti alla data del 15 novembre 1992, quando entrò in vigore la legge delega in base alla quale fu poi emanato il Decreto lgs. 124/1993. Con DM Economia 62/2007 è stata dettata la disciplina per l’adeguamento alla nuova normativa di sistema introdotta dal Decreto lgs. 252/2005. Sono denominati “fondi pensione preesistenti autonomi” quelli dotati di soggettività giuridica.

Esempi tra quelli iscritti all’albo sono: il Fondo Pensione per i Dipendenti IBM, il Fondo Pensioni Dipendenti DOW, il Fondo Pensione delle Società Esercizi Aeroportuali – FONSEA.

Sono invece denominati fondi pensione preesistenti interni quelli costituiti come poste di bilancio o patrimonio di destinazione delle imprese – banche, imprese di assicurazione e società non finanziarie – presso cui sono occupati i destinatari dei fondi stessi. Il Decreto lgs. 252/2005 ha trasferito alla COVIP la vigilanza sui fondi interni bancari e assicurativi, in precedenza sottoposti rispettivamente alla supervisione della Banca d’Italia e dell’ISVAP.
Esempi tra quelli iscritti all’albo sono il Fondo di Previdenza tra i dipendenti SARAS, il Fondo Pensioni Integrative a favore dei dipendenti della RAI.

Fondi negoziali

I fondi pensione negoziali, detti anche fondi ad ambito definito o fondi chiusi, sono istituiti sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali di settori specifici: l’adesione a questi fondi è riservata a specifiche categorie di lavoratori. Ad esempio, i fondi pensione negoziali dei lavoratori metalmeccanici sono Fondapi e Cometa, per i lavoratori del settore chimico sono Fondapi e Fonchim.

Fondo aperto

I fondi aperti sono creati e gestiti da banche, assicurazioni, Sgr e Sim e poi collocati presso il pubblico, sia in forma individuale, sia in forma collettiva nel caso il datore di lavoro scelga di aderirvi in accordo con i lavoratori.

PIP[

I Piani Individuali Pensionistici (PIP), anche detti Forme Individuali Pensionistiche (FIP) sono strumenti previdenziali che consentono, al pari dei fondi pensione, di erogare prestazioni integrative di natura pensionistica rispetto a quelle del sistema pubblico. La differenza con i fondi pensione sta nel fatto che l’adesione ai PIP è a carattere individuale e ciò comporta dei vantaggi come la possibilità di interrompere, e poi eventualmente riprendere, il versamento dei premi prestabiliti senza che il contratto si interrompa o venga penalizzato.

Chiunque può aderire ai PIP, anche casalinghe e studenti che non hanno posizioni previdenziali aperte con il sistema pubblico.

Le condizioni contrattuali sono uguali per tutti i contratti emessi dalle varie compagnie assicurative e si differenziano tra loro per i costi (caricamento, minimo trattenuto, eccetera) e dal tipo di rendimento. Un utile strumento per confrontare tali aspetti è un comparatore di assicurazioni.

Attraverso un PIP il lavoratore può anche decidere di versare il TFR, optando in questo caso di non lasciarlo in azienda. Ciò non incide, però, sulla volontarietà degli altri versamenti che possono essere variati o interrotti annualmente dal contraente: non esiste, infatti, alcun obbligo di effettuare un conferimento fisso ogni anno.

Le somme di denaro versate possono essere prelevate in anticipo, secondo quanto prescritto dalla legge, vedi i paragrafi “Prestazioni e anticipazioni” e “Riscatto parziale o totale”

Il rischio

Il patrimonio del fondo pensione è separato ed autonomo da quello della società istitutrice.

La destinazione del TFR a forme pensionistiche complementari è soggetta a un triplice rischio di insolvenza:

  • insolvenza del soggetto depositario dei fondi;
  • insolvenza del soggetto che emette le quote del fondo;
  • insolvenza degli emittenti gli strumenti finanziari in cui le somme sono investite.

I rischi di insolvenza o di fallimento non possono essere oggetto di copertura assicurativa.

In assenza di un fondo di garanzia che possa intervenire, in questi casi, i sottoscrittori restano privi di pensione.

La legge non obbliga la previdenza complementare a garantire né gli interessi né il capitale versato.

Relazione rischio/rendimento

Investimenti a basso rischio comportano però anche rendimenti più contenuti. L’investitore, in ipotesi di razionalità, si attende il rendimento di un’obbligazione di eguale durata, pari alla vita residua che decorre dall’anno del versamento a quello della pensione, maggiorato per ripagare le componenti di rischio e altri aspetti che ha un fondo pensione, e che un’obbligazione non ha:

  • rischio di investimento: se il fondo non garantisce capitale e interessi, il rendimento deve incorporare un premio di rischio (ed essere maggiore dell’interesse risk-free);
  • capitalizzazione composta degli interessi: l’obbligazione eroga ogni anno una cedola e tali interessi possono essere reinvestiti, mentre un fondo non paga alcun flusso di denaro al sottoscrittore fino all’età pensionabile. L’interesse dovrebbe quindi essere (strettamente) maggiore della cedola annua di un’obbligazione.
  • profitto atteso dalla vendita: è rilevante non solo il prezzo di vendita, ma anche la facilità di cessione di uno strumento finanziario. Il profitto atteso è il prodotto di prezzo di vendita e probabilità. Il prezzo di un’obbligazione è calcolato con una formula matematica che dipende dalla durata e dall’interesse (che sono noti), e lo strumento ha un ampio mercato secondario in cui è semplice trovare una controparte per la compravendita.

Norme di tutela

Al fine di garantire la natura previdenziale dell’investimento la normativa ha stabilito una serie di norme di tutela:

  • obbligo di individuazione dei gestori in base a una selezione pubblica condotta con criteri determinati dall’autorità di vigilanza;
  • obbligo di individuazione di una banca depositaria presso la quale deve essere depositato il patrimonio (liquidità e titoli);
  • indicazione dei criteri e dei vincoli agli investimenti;
  • imposizione di regole di gestione dei conflitti di interesse;
  • compiti di ispezione e controllo affidati all’autorità di vigilanza (Covip).

Il Consiglio di Amministrazione del fondo gode in questo senso di ampia autonomia gestionale: a esso è delegata la scelta della banca depositaria e della società di gestione, la disciplina del conflitto di interesse e dell’eventuale adozione di codici etici.

La legislazione vigente non vieta in modo esplicito di indirizzare i capitali del fondo pensione nelle aziende di proprietà dei datori di lavoro che appartengono al CdA del fondo stesso; non vieta in secondo luogo l’accumulo di cariche in contrasto con la gestione del fondo, come la partecipazione a CdA di società speculative, se non concorrenti del fondo stesso.

Gli obblighi di trasparenza e informazione si riferiscono ai criteri di scelta adottati per gli investimenti, nomine dei consiglieri, banca depositaria e società di gestione, ma non al merito delle scelte effettivamente compiute.

Il fondo pensione dovrebbe intraprendere investimenti a basso rischio, che garantiscono un interesse e, soprattutto, il capitale investito. Diversamente, il fondo rischia l’insolvenza, di non poter erogare la pensione, e restituire ai sottoscrittori quanto versato (l’equivalente dei “contributi” di una pensione integrativa).

La normativa italiana norma gli investimenti consentiti ai fondi pensione: decreto Ministero dell’economia e delle finanze del 2 settembre 2014, n. 166 (il “Decreto 166”), attuativo dell’articolo 6, comma 5-bis del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante norme sui criteri e limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione e sulle regole in materia di conflitti di interesse.

Nel mondo

Italia

In Italia i fondi pensione non hanno ancora avuto un grande sviluppo, probabilmente perché finora la copertura del sistema previdenziale pubblico è stata più che buona, e perché i fondi privati non sono a capitale garantito, in particolare in caso di fallimento del fondo stesso, o delle imprese private in cui ha investito il capitale raccolto. Casi simili furono il fallimento di Enron nel 2001 e di quello del fondo pensione dei dipendenti General Motors a Detroit, alla fine del 2008.

In caso di fallimento del datore di lavoro, il TFR è l’unica voce della retribuzione garantita: presso l’INPS esiste un fondo di solidarietà nazionale fra le imprese che interviene a pagare il TFR, in linea di capitale e interessi maturati, ai dipendenti di aziende che non possono onorare gli impegni contratti.

I metalmeccanici rappresentano la categoria di lavoratori più numerosa, e il loro fondo pensione, il fondo Cometa, ha la maggiore raccolta di capitali, pari a 12,17 miliardi di euro nel 2020. Nel consiglio di amministrazione del fondo siedono le rappresentanze sindacali e delle aziende, eletti a livello nazionale.

L’utilizzo del TFR

Dopo la riforma del 2005, tutti i lavoratori, sia delle imprese con meno di 15 dipendenti sia di quelle in numero superiore, possono decidere se destinare il 100% del TFR in azienda e farlo gestire all’INPS, oppure a un fondo pensione privato.

Se il lavoratore sceglie di destinare il TFR in azienda, questa lo verserà all’INPS. Il lavoratore si rivolge all’azienda per l’incasso, la rivalutazione e l’anticipazione del TFR, mentre l’azienda si rivarrà delle medesime somme presso l’INPS. Il lavoratore si rivolge direttamente all’INPS nel solo caso di insolvenza o fallimento del proprio datore di lavoro.

La regola del silenzio-assenso impone che i lavoratori che non restituiscono apposito modulo firmato alle Risorse Umane entro 6 mesi dall’assunzione, subiscano la destinazione del TFR ai fondi pensione. Se è presente, la destinazione avviene al fondo di categoria; diversamente a un fondo aperto scelto dall’azienda.

Il modulo per la scelta della destinazione del TFR è lo stesso, indipendentemente dalla dimensione dell’azienda. Per chi opta per una destinazione in azienda si continua ad applicare la disciplina del codice Civile, art. 2120, prevista per il TFR.

Chi opta per l’azienda, può successivamente destinare il TFR a fondi privati; viceversa, la scelta del fondo pensione non è reversibile, cioè non permette successivamente di riportare il TFR in azienda. Scelto un fondo pensione, è possibile cambiare la destinazione a diverso fondo aperto o al fondo di categoria.

Anche se già da diversi anni un lavoratore dipendente del settore privato ha mantenuto il suo TFR in azienda, può in ogni momento decidere di destinare alla previdenza complementare le quote di TFR che maturano successivamente alla scelta. Le quote di TFR pregresso alla scelta e contabilizzate presso il datore di lavoro possono essere trasferite a previdenza complementare anche sulla base di un accordo tra il lavoratore e il datore di lavoro, quindi non è condizione necessaria che tale possibilità sia espressamente prevista dallo statuto o dal regolamento del fondo pensione. Le quote di TFR pregresso che possono essere destinate al fondo pensione secondo tali modalità ed in esenzione fiscale sono esclusivamente quelle maturate entro il 31 dicembre 2006 e non riguardano quindi il periodo di destinazione di tale accantonamento al Fondo di Tesoreria INPS, che avviene invece dal 1º gennaio 2007 in poi (cfr. circolare Agenzia Entrate 70/E dicembre 2007, risposta Covip maggio 2009 e comma 7-bis art. 23 d.lgs. n. 252/05).

Il citato d.lgs. n. 252 del 2005 all’art. 10 prevede misure compensative per le imprese, come la detassazione del TFR versato ai fondi pensione contributi aggiuntivi da parte dello Stato. Misure di detassazione esistono già per il TFR versato all’INPS, mentre lo Stato non versa a questo alcuna quota. Se è destinato al fondo pensione, il datore di lavoro versa il 4% della retribuzione lorda annua, il lavoratore il 2%. Se destinato all’INPS, ossia in azienda, il lavoratore versa il 9% e il datore il 20%. Il decreto legislativo del 2005 prevede per il datore di lavoro di detrarre fino al 4% di quanto versato al fondo pensione; il TFR versato all’INPS o in azienda è un costo, che si detrae interamente dal reddito imponibile.

In cambio del contributo al fondo pensione, misure compensative del d.lgs. 252/2005 esonerano il datore dall’obbligo di versare somme al fondo di garanzia, gestito da INPS, per cui la rendita del fondo pensione non è a capitale e interesse garantito, salvo diversa tutela prevista nello Statuto del fondo pensione.

La normativa (comma 5) prevede di verificare la compatibilità di queste azioni con la giurisprudenza comunitaria.

Esse potrebbero rappresentare una fattispecie di “aiuto di Stato” a fondi privati italiani. Un provvedimento simile ha impatti diversi per i fondi aperti, che configurano un trasferimento da Stato a imprese private, e per i fondi di categoria, privi di fini di lucro, così come l’INPS.

Il trasferimento di quote o la detassazione nei confronti di un ente pubblico può essere valutata come una distorsione della libera concorrenza e del libero mercato, essendo il fondo gestito dall’INPS in alternativa alle forme di previdenza complementare. Tuttavia, l’Ente previdenziale sostiene maggiori oneri di pubblica utilità, derivanti dalla rivalutazione obbligatoria e dagli accantonamenti al Fondo di Garanzia del capitale, obblighi assenti per i fondi pensione e che richiedono una maggiore copertura.

Rispetto al TFR non sussistono obblighi di garanzia del capitale e dell’interesse in capo ai fondi pensione analoghi a quelli previsti per la destinazione in azienda. Similmente alla destinazione in azienda, la norma (art. 8) prevede l’anticipazione di quanto versato ai fondi pensione fino al 75% dopo otto anni dalla prima sottoscrizione per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa per sé o per i propri figli o anche se prima degli otto anni per spese sanitarie gravi e straordinarie. Gli otto anni hanno decorrenza dalla prima adesione a un fondo pensione quindi anche in caso di trasferimento ad altro fondo l’anzianità non si perde.

Dei 43 fondi negoziali esistenti in Italia, 38 sono rivolti ai lavoratori dipendenti e 5 ai lavoratori autonomi. Dei 38 rivolti ai lavoratori dipendenti 10 sono fondi aziendali e di gruppo, mentre 28 sono fondi di categoria.

La gestione dei singoli fondi è demandata a un consiglio di amministrazione paritetico al 50% designato dagli imprenditori e al 50% dai lavoratori “associati” (CGIL-CISL-UIL di categoria). La percentuale designata dai lavoratori viene nella maggioranza dei casi eletta con liste prestabilite dai sindacati, e quindi nel CdA entrano i rappresentanti dei sindacati di categoria.

Fallimenti

Nel biennio 2006-2007 sono avvenuti i primi fallimenti di fondi pensione integrativi in Italia: Cassa IBI e Carlo Felice di Genova. Il fondo Comit è stato posto il liquidazione volontaria per la riorganizzazione dei fondi del gruppo Intesa.

Ai fondi pensione si applica la disciplina dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento. Non sono previste garanzie o risarcimenti.

Secondo il diritto fallimentare, i dipendenti sono creditori privilegiati del datore di lavoro, per le retribuzioni arretrate e per la liquidazione. Nei confronti di un fondo pensione, interno all’azienda, o di categoria, non vantano particolari diritti che li inseriscono ai primi posti nella lista di creditori da risarcire.

Written by sistemielettorali

6 aprile 2021 at 13:27

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Fondo pensione – aggiornamento

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Aggiorniamo il fondo pensione, a distanza di 2 anni e mezzo dalla sua creazione.

Ricordo che il rendimento è al NETTO dei dividendi.

fondo

Written by sistemielettorali

15 Maggio 2013 at 07:25

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Fondo pensione – aggiornamento

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Aggiorniamo il fondo pensione.

Abbiamo acquistato due nuovi etf:
– ETF Physical Platinum  PHPT.MI / ISIN JE00B1VS2W53
– iShares FTSE EPRA/NAREIT1 UK Property Fund  IUKP.MI / ISIN IE00B1TXLS18

Con questi due ingressi, il portafoglio vede:
– 45% obbligazionario
– 22% azionario
– 20% liquidità
– 10% commodities
–  3% real estate

Il rendimento, comprensivo dei dividendi, è dell’1,02%.
Il calo del dollaro, tuttavia, azzera i guadagni ottenuti con i due etf VIG e HYG.

Written by sistemielettorali

12 ottobre 2010 at 10:51

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Fondo pensione

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Vorrei cominciare, sperando di non dover pentirmene, una nuova rubrica che è collegata ad un ipotetico fondo pensione.
In tabella vedete i titoli che ho acquistato negli ultimi mesi (gli ultimi 2 sono quotati al NYSE). Sono tutti ETF che a mio avviso garantiscono una migliore diversificazione senza pesare troppo in commissioni.

IBGL
iShares Barclays Capital Euro Government Bond 15-30 è un exchange traded fund (ETF) che mira a replicare la performance del Barclays Capital Euro Government Bond 30 Year Term Index il più fedelmente possibile. L’ETF investe in titoli fisici. Il Barclays Capital Euro Government Bond 30 Year Term Index offre esposizione a Obbligazioni governative denominate in euro con rating investment grade emesse dai paesi UME con una scadenza iniziale compresa tra 26 e 33 anni. L’indice include solo le obbligazioni con una vita minima stimata di 15 anni e con un ammontare minimo di capitale in circolazione di 2 miliardi di euro. Il dividendo, 3,85%, è semestrale. Qui la scheda: http://it.ishares.com/it/rc/funds/IBGL

EONEUR
Scopo di questo Etf è quello di replicare fedelmente l’andamento dell’indice EuroMtsEonia. E’ uno strumento a gestione passiva indicato a chi intende investire nel mercato monetario della zona euro beneficiando di una completa protezione del capitale ed evitando di esporsi al rischio valuta. Al pari di un conto corrente o di un deposito, l’investimento cresce costantemente in virtù degli interessi che maturano e che vengono capitalizzati giornalmente. Questo strumento non può quindi perdere valore e non è esposto ai rischi di cambio e di tassi di interesse. L’Euromts Eonia prevede la capitalizzazione giornaliera del tasso Eonia calcolato dalla Banca Centrale Europea. L’Euro Overnight Index Average è la media ponderata dei tassi a cui un panel di banche primarie scambia ogni giorno depositi overnight (giorno su giorno) in euro sul mercato interbancario. Gli interessi maturati vengono reinvestiti ogni giorno nell’Etf a favore degli investitori stessi.

LQDE
iShares Markit iBoxx $ Corporate Bond è un exchange traded fund (ETF) che mira a replicare la performance del Markit iBoxx $ Liquid Investment Grade Top 30 Index il più fedelmente possibile. L’ETF investe in titoli fisici. Il Markit iBoxx $ Liquid Investment Grade Top 30 Index offre esposizione a Le 30 principali e più liquide obbligazioni corporate denominate in dollari statunitensi con rating investment grade. L’indice include solo le obbligazioni con una scadenza residua di 2 anni e con un ammontare minimo di capitale in circolazione di 1 miliardo di dollari. I dividendi sono trimestrali. Qui la scheda: http://it.ishares.com/it/rc/funds/LQDE

RICIME
Il RICI® – Metals è un indice settoriale che fa parte della serie RICI® lanciata da Jim Rogers il 31 luglio 1998. L’indice RICI® – Metals è composto da 10 metalli selezionati in base all’importanza che
rivestono nell’economia internazionale come ad esempio l’oro, il rame e il nichel. I singoli componenti sono stati inseriti nell’indice sulla base della liquidità, ponderando i rispettivi consumi a livello internazionale, come pure i vincoli legali e di scambio.  Qui la scheda: http://markets.rbsbank.it/MediaLibrary/Document/PDF/ProductDocuments/LU0259320728/LU0259320728_IT_Brochure.pdf

RUSA
L’indice Ftse Rafi Us 1000 è un paniere costituito da circa 1000 titoli a media e grande capitalizzazione quotati a Wall Street. Gli indici fundamental Ftse Rafi (Research Affiliate Fundamental Index) analizzano un universo iniziale composto dalle società degli indici Ftse (indici tradizionali di capitalizzazione) ed utilizzano quattro indicatori di bilancio (fatturato, flussi di cassa e dividendi degli ultimi 5 anni e patrimonio netto) al fine di individuare e pesare un sottoinsieme di titoli ad altre prospettive.
A livello settoriale il paniere è composto per l’11,5% da aziende del settore industriale, per il 10,2% da banche, per il 9,1% da compagnie petrolifere, per l’8,4% da società del settore healthcare mentre il comparto tecnologico rappresenta l’8,2% del fondo.

XEMB
L’indice Deutsche Bank Emerging Markets Liquid Eurobond Euro, calcolato e pubblicato da Deutsche Bank, è composto da obbligazioni emesse da un massimo di 15 stati o enti quasi sovrani (con un limite massimo di 10 titoli per emittente) delle seguenti aree geografiche: America Latina, Asia, paesi emergenti europei, Africa e Medio Oriente. L’indice, denominato in euro, non espone direttamente al rischio di cambio e seleziona i titoli tenendo conto della situazione economico-finanziaria dell’emittente e del rischio di credito.

XSTR
Il db x-trackers II Sonia Total Return Index ETF replica invece il rendimento di un deposito rinnovato su base giornaliera in un conto remunerato al tasso SONIA (Sterling Overnight Index Average), ovvero il tasso monetario a breve termine di riferimento per il mercato inglese. Questo tasso viene calcolato come la media ponderata di tutte le operazioni di finanziamento non garantite concluse a Londra dalle imprese facenti parti del WMBA (Wholesale Markets Brokers’ Association) con qualsiasi controparte, d’importo minimo pari a 25 milioni di sterline.

XS7S
Questo Etf replica all’inverso l’andamento di un paniere di titoli bancari europei. Un deprezzamento dell’indice degli istutiti finanziari del 2% comporterà un apprezzamento prossimo al 2% dell’Etf e viceversa. Lo strumento consente quindi di realizzare una strategia ribassista sul settore bancario e può essere utilizzato indifferentemente per strategie direzionali ribassiste o per effettuare strategie di copertura di un portafoglio azionario. L’Etf risulta premiante anche nelle fasi laterali in quanto l’indice riconosce un guadagno rappresentato dagli interessi. Queste caratteristiche ne fanno uno strumento utile per essere utilizzato sia nelle strategie di medio lungo, sia in quelle di breve periodo.

IEAG
iShares Barclays Capital Euro Aggregate Bond è un exchange traded fund (ETF) che mira a replicare la performance del Barclays Capital Euro Aggregate Bond Index il più fedelmente possibile. L’ETF investe in titoli fisici. Il Barclays Capital Euro Aggregate Bond Index offre esposizione a Obbligazioni denominate in euro con rating investment grade emesse pubblicamente sul mercato Eurobond e sui mercati dell’eurozona. L’indice include solo le obbligazioni con una scadenza residua di 1 anno.  Qui la scheda: http://it.ishares.com/it/rc/funds/IEAG

EMAAA
L’ETF ha l’obiettivo di replicare il benchmark “EuroMTS AAA Government Index”, un indice composto da oltre 100 Titoli di Stato, con rating AAA, denominati in Euro, emessi dai paesi dell’Area Euro.
VIG
Vanguard Dividend Appreciation ETF cerca di replicare un indice benchmark che misura il ritorno di un investimento in titoli USA che hanno riportato alti dividendi in crescita. Le spese ammontano allo 0,23%. Distribuisce il dividendo trimestralmente. Nel 2010, ha distribuito a marzo 0,225$ e a giugno 0,25$ (2,18%). La scheda dell’etf la trovate qui: https://personal.vanguard.com/us/FundsSnapshot?FundId=0920&FundIntExt=INT

HYG
L’iShares iBoxx $ Corporate High Yield Bond Fund mira a replicare i risultati di investimento dell’ iBoxx Liquid $ High Yield Index, un indice di mercato delle obbligazioni corporate prodotto dalla International Index Company Limited. Il dividendo è dell’8,96%. La scadenza delle obbligazioni è, per il 98%, da 1 a 10 anni.  Il rating delle obbligazioni in
portafoglio è visibile in questa pagina:
http://us.ishares.com/product_info/fund/overview/HYG.htm

Tali obbligazioni, con vita residua di almeno 1 anno, devono essere negoziate sulle piattaforme elettroniche MTS e singolarmente devono avere un ammontare di almeno EUR 2 Miliardi.

Written by sistemielettorali

17 agosto 2010 at 15:32

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